Cancro: ricevere cure “frammentate” aumenta il rischio di morte

Il 28% dei pazienti ricoverati in ospedale con complicazioni dopo la rimozione chirurgica del cancro del pancreas, del fegato o dello stomaco si reca in un altro ospedale per cure di follow-up. Questa frammentazione dell’assistenza sanitaria è associata a un aumento del 50% delle probabilità di morte, secondo uno studio pubblicato dal Journal of the American College of Surgeons.


I ricercatori della Washington University School of Medicine, St.Louis, hanno cercato di identificare i fattori che aumentano il rischio di morte durante la riammissione in un ospedale esterno, diverso da quello in cui è stata eseguita l’operazione.


Utilizzando i database statali dei pazienti ricoverati inseriti nel progetto federale Healthcare Cost and Utilization, i ricercatori hanno valutato i dati di adulti sottoposti a rimozione chirurgica di tumori epatici, pancreatici, delle vie biliari e gastrici a partire dal 2006. I pazienti vivevano in California, Florida o New York. Un totale di 31.256 pazienti sono stati dimessi dall’ospedale dopo l’intervento e 7.536, ovvero il 24%, sono stati riammessi in un ospedale nei primi tre mesi dopo la dimissione. Tra questi, il 28 % è andato in un ospedale esterno. I risultati dello studio hanno mostrato un tasso di mortalità più elevato tra coloro che si rivolgevano a un ospedale diverso rispetto ai pazienti che tornavano nello stesso ospedale: l’8% contro il 5,4%.


Gli autori propongono una spiegazione per questa differenza. La maggior parte delle operazioni per rimuovere i tumori del fegato, del pancreas, dei dotti biliari o dello stomaco si svolgono presso centri medici regionali dove le équipe chirurgiche eseguono un grande volume di queste procedure complesse. Si tratta di operazioni con alti tassi di complicanze e riammissioni e un grande volume chirurgico è associato a migliori risultati. “Questa centralizzazione della cura chirurgica del cancro significa che molti pazienti percorrono grandi distanze per sottoporsi alle loro operazioni e quindi potrebbero avere la necessità di andare in un ospedale più vicino a casa se si verificano complicazioni. Quell’ospedale potrebbe non avere accesso alle cartelle chirurgiche del paziente o magari potrebbe non disporre di specialisti adatti per prendersi cura di pazienti con problemi così complessi”,  spiega David G. Brauer, primo autore dello studio. “La comodità dell’assistenza, però, non dovrebbe andare a scapito di ottenere le cure appropriate”.


I ricercatori hanno anche identificato i fattori di rischio di morte al momento della riammissione in ospedale. Sono: un periodo di tempo più lungo tra dimissione e riammissione; vivere molto lontano dall’ospedale dell’operazione; vivere in una zona rurale e l’età avanzata. Sulla base dei fattori di rischio identificati Brauer ha proposto delle raccomandazioni: gli ospedali nei quali viene effettuata l’operazione dovrebbero verificare la presenza dei fattori di rischio e individuare luoghi sicuri, vicini al paziente, per una riammissione in caso di complicanze; i chirurghi potrebbero prendere in considerazione visite di follow-up e telemedicina più frequenti con i pazienti a rischio; quando i pazienti scelgono un ospedale esterno per la riammissione, dovrebbero chiedere ai medici curanti di comunicare con i loro chirurghi.


Bibliografia: Journal of the American College of Surgeons

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