Criteri precisi permettono di identificare i pazienti in cui è meglio non usare una tecnica endoscopica per emorragie da ulcera

Quando in pazienti con grave emorragia da ulcera peptica sono presenti un indice di shock (SI) di almeno 1,53, un diametro del vaso sanguigno esposto ≥ 1,9 mm identificato sulla tomografia computerizzata con mezzo di contrasto (CE-TC), sanguinamento da ulcera duodenale e Forrest Ia, si deve considerare un’emostasi non endoscopica, utilizzando la radiologia interventistica (IVR) e la chirurgia.


“Il primo approccio per il sanguinamento dell’ulcera peptica è in genere l’emostasi per via endoscopica, ma nei pazienti con segni vitali che indicano uno shock la rapida determinazione di una strategia emostatica è importante” esordisce Yo Kubota, della Kitasato University School of Medicine, Sagamihara, Giappone, primo nome dello studio.


I ricercatori hanno cercato di comprendere quali fossero i fattori che potessero rendere difficile la riuscita dell’emostasi endoscopica. Per questo hanno studiato retrospettivamente 150 pazienti sottoposti a emostasi endoscopica per sanguinamento da ulcera peptica con presentazione in stato di shock presso un centro di terapia intensiva tra aprile 2007 e marzo 2021.


Nello studio sono stati considerati 123 casi di emostasi endoscopica riuscita e 27 non riusciti. Le cause di emorragia includevano il sanguinamento dell’ulcera gastrica in 124 pazienti (82,7%) e il sanguinamento dell’ulcera duodenale in 26 pazienti (17,3%). L’indice di shock (SI) (1,46 rispetto a 1,60), il diametro del vaso sanguigno esposto (1,4 mm rispetto a 3,1 mm) identificato sulla CE-CT, il sanguinamento dell’ulcera duodenale e una classificazione di Forrest Ia sono stati rilevati come fattori indipendenti per la mancata riuscita dell’emostasi endoscopica.


Fonte: Scand J Gastroenterol. 2021 

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