
Da oggi live la campagna in occasione del mese di sensibilizzazione sul Citomegalovirus
Giugno è il #CMVawarenessmonth, il mese dedicato a sensibilizzare e incrementare la conoscenza del Citomegalovirus, un nemico silenzioso e pericoloso.Il […]
La disponibilità di biomarcatori in grado prevedere la risposta al trattamento con corticosteroidi per la prevenzione della malattia acuta da rigetto (GVHD, graft versus host disease) sarebbe estremamente utile per personalizzare la gestione del paziente sottoposto a trapianto di cellule staminali emopoietiche (Hematopoietic stem cell transplantation, HSCT)1.
Il trapianto HSCT rappresenta l’unico trattamento terapeutico per molte malattie ematologiche, la sua efficacia è legata alla comparsa di GVHD, condizione che induce danno tissutale, fallimento immunologico e mortalità. La malattia acuta da rigetto si verifica in circa il 50% dei pazienti sottoposti a trapianto: a influenzare il rischio sono il tipo di donatore, l’età e il genere, il tipo di regime e di profilassi e la compatibilità tra donatore e ricevente.
In genere, la terapia di prima linea per la malattia acuta da rigetto consiste nella somministrazione di corticosteroidi ad alte dosi che, tuttavia, non permette di ottenere una remissione completa in una quota di pazienti che arriva fino al 50%.
La non responsività agli steroidi, impossibile da prevedere con anticipo, è il principale fattore di rischio legato alla mortalità per GVHD; da qui la ricerca di biomarcatori in grado di migliorare la gestione di questi pazienti. La maggior parte dei marcatori finora studiati appartengono alle categorie delle citochine, chemochine, dei fattori di crescita, dei fattori angiogenici o delle molecole coinvolte nel processo infiammatorio.
Uno studio prospettico francese ha valutato il valore prognostico di sette biomarcatori plasmatici, ossia l’elafina (indicatore di danno epiteliale), HGF (hepatocyte growth factor, indicatore di danno epatico), recettori dell’interleuchina 2 Alfa (IL-2RA), interleuchina 8 (CXCL8), REG3α (indicatore di danno gastrico), TNFRI e ST2,con lo scopo di predire la risposta completa agli steroidi al giorno 28 (D28), la sopravvivenza globale al giorno 180 (D180) e la mortalità a 180 giorni in assenza di recidiva (D180 NRM, non relapse mortality)1.
I parametri sono stati misurati alla comparsa della malattia acuta da rigetto e prima dell’inizio della terapia con corticosteroidi. Lo studio si focalizza su 204 pazienti che hanno sviluppato la malattia e che hanno richiesto un trattamento con steroidi ad alte dosi, ossia più di un milligrammo pro chilo (≥1 mg/kg).
A tutti i pazienti, reclutati tra il 2013 e il 2016 è stata praticata una raccolta plasmatica fino alla settima settimana, e alla comparsa di GVHD. I pazienti con GVHD avevano un’età mediana di 45 anni e per la maggior parte erano stati sottoposti a trapianto per leucemia acuta, sindrome mielodisplastica o neoplasma mieloproliferativo.
La malattia acuta da rigetto si è verificata dopo una mediana di 24 giorni dal trapianto. Il 30% dei pazienti, all’inizio della terapia con steroidi, presentava GVHD di grado 3, il 57% di grado 2 e il 13% di grado 1. Cute, intestino e fegato sono stati gli organi coinvolti rispettivamente nell’83%, 76% e 15% dei pazienti.
La diagnosi di GVHD è stata associata a febbre nel 46% dei pazienti e al momento della diagnosi i livelli di albuminemia erano pari a 35 g/L e la proteinemia mediana pari a 59 g/L.
Complessivamente, l’incidenza della mancata risposta alla terapia a 28 giorni (D28), della sopravvivenza globale al giorno 180 (D180) e della D180 NRM è stata pari al 32%, 79% e 16% dei pazienti, rispettivamente.
Gli esiti per tutti gli outcome considerati sono risultati migliori nei pazienti con malattia di grado 1 o 2, senza coinvolgimento epatico, mentre la febbre ha aumentato il rischio di mancata risposta al D28 e di NRM al D180. Avere una età superiore ai 50 anni ha aumentato il rischio di mancata risposta a 28 giorni, e diminuito la sopravvivenza globale a 180 giorni.
Inoltre, aver ricevuto un trapianto da un donatore non consanguineo ha mostrato di essere associato a un aumento del rischio di mortalità senza recidiva (non relapse mortality) a 180 giorni (D180 NRM).
L’analisi multivariata ha mostrato che un grado iniziale di malattia acuta pari a 3, età superiore ai 50 anni e il coinvolgimento epatico aumentano il rischio di mancata risposta alle terapie a 28 giorni. Inoltre sia una GVHD iniziale di grado 3 che il coinvolgimento epatico sono stati associati significativamente alla sopravvivenza globale, e alla mortalità in assenza di recidiva.
Riassumendo, in letteratura da alcuni anni viene evidenziata l’esistenza di un’associazione tra marcatori plasmatici e prognosi dopo il trapianto. Lo studio ha voluto verificare l’utilità clinica di alcuni biomarcatori alla comparsa di GVHD, e il valore predittivo nei confronti di sopravvivenza globale a 180 giorni, risposta a 28 giorni e mortalità a 180 giorni in assenza di recidiva.
Lo studio ha confermato che i biomarcatori misurati alla comparsa di GVHD predicono la risposta e la D180 NRM, ma non aggiungono valore significativo al ruolo delle variabili cliniche, ossia età, coinvolgimento epatico e livello di gravità della malattia acuta da rigetto; pertanto ne viene sconsigliato l’impiego.
Riferimenti bibliografici