Insufficienza cardiaca: ferro per via endovenosa riduce nuovi ricoveri

L’integrazione del ferro riduce i nuovi ricoveri per insufficienza cardiaca nei pazienti sideropenici ricoverati inizialmente per insufficienza cardiaca acuta. Secondo Piotr Ponikowski della Wroclaw Medical University, autore dello studio AFFIRM-AHF che ha portato a queste conclusioni, la sideropenia andrebbe ricercata nei pazienti ricoverati con insufficienza cardiaca attiva, ed è valutabile con un semplice test ematico, costituendo oggi un importante target terapeutico.

Essa è presente sin nel 70% dei pazienti con insufficienza cardiaca acuta, ed è un fattore predittivo di esiti infausti, indipendentemente dall’anemia e dalla frazione di eiezione.

Gli studi FAIR-HF, CONFIRM-HF ed EFFECT-HF hanno dimostrato che la somministrazione endovenosa di ferro migliora capacità d’esercizio, sintomi e qualità della vita nei pazienti sideropenici con insufficienza cardiaca, ma lo studio IRONOUT non ha fatto osservare nessuno di questi benefici con la somministrazione di ferro orale, e quindi la sostituzione del ferro andrebbe effettuata per via endovenosa.

La riduzione dei nuovi ricoveri osservata nel presente studio era relativamente modesta, ma non ci si aspettava che lo studio rivelasse benefici in termini di mortalità cardiovascolare, ed inoltre i suoi risultati sono supportati anche da evidenze indipendenti emerse dallo studio PIVOTAL sulle nefropatie croniche.

Attualmente le linee guida sia statunitensi che europee riportano raccomandazioni piuttosto blande per l’integrazione del ferro in questi pazienti, ma sia i ricercatori che diversi esperti affermano che sulla base dei risultati dello studio le stesse linee guida verranno presumibilmente revisionate per rafforzare queste indicazioni.

Fonte: American Heart Association Scientific Sessions 2020

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