Italiani sempre più attenti al consumo di sale. Iss: “Il 55% fa attenzione o cerca di ridurlo”

Più di 5 persone su 10 (55%) fanno attenzione o cercano di ridurre la quantità di sale assunta a tavola, nella preparazione dei cibi e nel consumo di quelli conservati. L’uso consapevole del sale è più frequente fra le donne (61% vs 50% negli uomini), nelle persone più mature di età (raggiunge il 63% fra i 50-69enni vs 43% fra i 18-34enni), fra i residenti con cittadinanza italiana (56% vs 49% fra gli stranieri) Anche l’istruzione ha un ruolo: gli individui più istruiti, in particolare laureati, hanno un’attenzione maggiore all’impiego di sale nell’alimentazione. Chiaro il gradiente geografico per cui è maggiore l’attenzione al consumo di sale fra i residenti nelle Regioni del Nord (61% vs 50% dei residenti nel Meridione).

Questi i risultati della sorveglianza PASSI dell‘Iss aggiornati al 2021-2022

Fra le persone con almeno una patologia cronica, e in particolare tra chi ha una diagnosi di ipertensione arteriosa o di insufficienza renale (per le quali la riduzione del consumo di sale diventa strumento di controllo della malattia), la percentuale di chi ne fa un uso consapevole risulta più alta (74%), ma non raggiunge i livelli attesi e 1 paziente su 4 sembra non prestarvi attenzione. Malgrado l’esiguo numero di donne in gravidanza nel campione, in questo sottogruppo di popolazione la percentuale di attenzione al consumo di sale è significativamente maggiore (66%) rispetto alla popolazione femminile di riferimento, in età fertile ma non in gravidanza (55%).

I dati sull’attenzione dei medici alla “salute a tavola” dei loro assisti mostrano ancora una volta (come accade per i consigli su fumo, alcol, sedentarietà o eccesso ponderale) che il consiglio medico è uno strumento ancora poco utilizzato e in gran parte finalizzato al contenimento del danno. Infatti, a fronte di questi dati sulla consapevolezza dei cittadini sul rischio per la salute associato a un eccessivo consumo di sale alimentare, mediamente fra quelli che hanno avuto un contatto con un medico o altro operatore sanitario nei dodici mesi precedenti l’intervista, 1 su 4 (24%) riferisce di aver ricevuto il consiglio su un utilizzo appropriato del sale nella dieta e, anche se si arriva al 56% fra le persone con ipertensione o insufficienza renale, queste percentuali non migliorano nel tempo.

Il consumo di sale iodato Oltre ai dati sul consumo generico di sale, PASSI raccoglie anche le informazioni relative al consumo di sale iodato, con una domanda specifica, individuando le quote di persone che riferiscono di usare il sale iodato nella preparazione di pasti in casa e di chi spontaneamente dichiara di non conoscerne l’esistenza.

Lo iodio, spiega l‘Iss, è il costituente essenziale degli ormoni tiroidei. Questi svolgono un ruolo critico sul differenziamento cellulare, in particolare per ciò che riguarda lo sviluppo del sistema nervoso centrale nelle prime fasi della vita e contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio metabolico durante la vita adulta. La carenza nutrizionale di iodio compromette la funzione tiroidea e si traduce in quadri patologici le cui manifestazioni variano in funzione del periodo della vita interessato a questo deficit. Gravidanza e prima infanzia sono fasi della vita durante le quali gli effetti della carenza iodica sono più gravi. Il metodo più efficace ed economico per prevenire le malattie da carenza di iodio consiste nell’utilizzare a fini alimentari esclusivamente sale iodato invece del comune sale da cucina, senza superare comunque le dosi raccomandate. Una legge del 2005 (Legge n.55 del 21 marzo 2005) promuove il consumo di sale iodato in alternativa al comune sale da cucina, stabilendo che il sale iodato sia reso disponibile in tutti i punti vendita di generi alimentari mentre il comune sale da cucina sia fornito solo su specifica richiesta del consumatore.

I dati relativi al biennio 2021-2022 evidenziano una buona consapevolezza, nella popolazione adulta residente in Italia, dell’importanza di assumere iodio attraverso il sale iodato. Complessivamente, infatti, il 76% delle persone intervistate sceglie di utilizzare il sale iodato, moltissimi lo usano abitualmente (44% sempre e il 15% spesso) mentre altri riferiscono di usarlo qualche volta (18%). Questa è una consapevolezza che cresce nel tempo: il consumo di sale iodato veniva riferito dal 67% degli intervistati nel 2015 ed è aumentato al 78% nel 2021, per diminuire significativamente nel 2022 arrivando al 76%.

La quota di chi riferisce di usare il sale iodato è maggiore nella popolazione femminile (80% vs 74% degli uomini), fra le persone socialmente più avvantaggiate per risorse economiche (78% fra chi non ha difficoltà economiche vs 71% di chi riferisce di averne molte) o per istruzione (80% fra i laureati vs 67% fra chi ha al più la licenza elementare) e fra i cittadini italiani rispetto agli stranieri (78% vs 67%).

Anche il gradiente geografico sembra molto chiaro: il sale iodato viene consumato dall’81% degli intervistati residenti nelle Regioni del Nord Italia e da circa il 74% del Centro Sud. Se 77 persone su 100 usano il sale iodato, c’è una quota della popolazione che riferisce di non usarlo mai (20%) e una porzione, poco inferiore al 3%, che riferisce di non sapere neanche cosa sia. Si tratta generalmente di persone più giovani, più frequentemente uomini, o persone socialmente più svantaggiate, per bassa istruzione o molte difficoltà economiche o cittadinanza straniera.

La consapevolezza dell’importanza che assume lo iodio in particolari condizioni fisiologiche e fasi della vita, prosegue l’Iss, è dimostrata anche dai dati sul consumo di sale iodato in gravidanza, durante l’allattamento e nell’infanzia: fra le donne in gravidanza o che allattano al seno il 76% riferisce di usare il sale iodato nella preparazione dei pasti in casa, fra le persone che vivono con bambini di 0-14 anni di età il 78%.

Infine, sottolinea l’Iss, È fra le persone con patologie croniche (fra quelle indagate in PASSI) non c’è alcuna riserva, come è corretto che sia, sul consumo di sale arricchito di iodio e la quota di chi ne fa uso, pur avendo una o più patologie croniche, non differisce da chi non ne ha.

Rischio cardiovascolare. Nel biennio 2021-2022, PASSI ha rilevato che complessivamente il 41% degli intervistati presenta almeno 3 dei fattori di rischio cardiovascolare indagati dalla sorveglianza. L’ipertensione è poco frequente fra i giovani adulti ma la sua diffusione cresce con l’età, passando da poco più del 2% prima dei 35 anni al 35% fra i 50-69enni. Inoltre, il 78% degli ipertesi dichiara di essere in trattamento farmacologico. Riguardo l’ipercolesterolemia, anch’essa associata all’età e all’eccesso ponderale, sembra più frequente fra le donne e si associa allo svantaggio sociale. Infine, quasi 4 persone su 10 fra gli ipercolesterolemici dichiara di essere in trattamento farmacologico.

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