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Una diagnosi di scompenso cardiaco nelle persone che ricevono assistenza sanitaria domiciliare è predittiva di morte, ricovero in ospedale e peggioramento della salute, in particolare nelle persone con instabilità medica. Questo è quanto riferisce uno studio pubblicato sul Canadian Journal of Cardiology da un team guidato da George Heckman, della University of Waterloo, in Canada.
“Nella predizione dei ricoveri e della mortalità dei pazienti con assistenza domiciliare, la complessità medica e l’instabilità della salute, misurate per mezzo della scala CHESS (Changes in Health and End-stage disease Signs and Sintomi) gioca un ruolo fondamentale. Abbiamo cercato di capire come l’insufficienza cardiaca, molto comune tra i pazienti che usufruiscono dell’assistenza a domicilio, possa contribuire alle probabilità di morte, ospedalizzazione o peggioramento della salute tra i nuovi clienti dell’assistenza domiciliare, a seconda dell’instabilità sanitaria del ricovero” spiega Heckman.
I ricercatori hanno studiato pazienti in assistenza domiciliare di età pari o superiore a 65 anni tra il 1 gennaio 2010 e il 31 marzo 2015 nelle regioni canadesi Alberta, British Columbia, Ontario e Yukon, e hanno esaminato il ruolo dello scompenso cardiaco e della scala CHESS durante le cure domiciliari a sei mesi dopo il ricovero.
Il campione ha incluso 286.232 pazienti, e tra questi, quelli con scompenso cardiaco avevano maggiori probabilità di peggiorare l’instabilità di salute rispetto a quelli senza la malattia. In caso di instabilità della salute bassa-moderata (CHESS 0-2), i pazienti con scompenso avevano maggiori probabilità di ricovero e morte rispetto a quelli senza scompenso. I pazienti con scompenso e alta instabilità di salute (CHESS≥3) avevano probabilità leggermente maggiori di ospedalizzazione, ma probabilità di morte simili rispetto a quelli senza scompenso.
“Una diagnosi di scompenso e il punteggio CHESS forniscono informazioni complementari per supportare la pianificazione dell’assistenza in questa popolazione” concludono gli autori.
Fonte: Canadian Journal of Cardiology