Colangite biliare e diabete sono legati da una relazione causale bidirezionale
Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Endocrinology, tra il diabete di tipo 1 e la colangite biliare primitiva esiste […]
I bambini nati da madri con obesità severa (BMI ≥ 35) hanno un rischio significativamente maggiore di essere ricoverati in ospedale per infezioni durante l’infanzia e l’adolescenza. È quanto emerge da uno studio osservazionale pubblicato sulla rivista BMJ Medicine, che analizza dati di lungo periodo dal progetto “Born in Bradford” nel Regno Unito.
Secondo i ricercatori, l’obesità materna rappresenta un fattore di rischio potenzialmente modificabile, con implicazioni importanti per la salute pubblica. La tendenza attuale, infatti, prevede che entro il 2030 circa una donna su quattro a livello globale sarà obesa durante la gravidanza. Un dato preoccupante, considerando che l’obesità comporta uno stato infiammatorio cronico che può alterare la risposta immunitaria, l’espressione genica e il microbioma intestinale, con possibili effetti a lungo termine sul feto.
Lo studio ha analizzato i dati di 9037 donne che hanno partorito un bambino vivo tra il 2007 e il 2010 al Bradford Royal Infirmary, nel nord dell’Inghilterra. Le informazioni sul BMI materno sono state raccolte in vari momenti della gravidanza. Il campione era etnicamente eterogeneo (45% di origine pakistana, 40% bianche britanniche) e per il 37% residente in aree a forte deprivazione socioeconomica.
I loro figli (9540) sono stati monitorati fino all’età di 15 anni per verificare il numero di ricoveri ospedalieri per infezioni, classificate in sette categorie: respiratorie alte e basse, cutanee, genito-urinarie, gastrointestinali, batteriche invasive e virali multisistemiche.
Tra la nascita e l’adolescenza sono stati registrati 5009 ricoveri per infezione. Circa il 30% dei bambini ha subito almeno un ricovero, e i tassi più alti si sono verificati nel primo anno di vita (134,6 ricoveri ogni 1000 anni-persona), per poi diminuire con l’età. I dati mostrano che i tassi di ricovero aumentano parallelamente all’aumento del BMI materno: 39,7 ricoveri/1000 anni-persona per i figli di madri normopeso contro 60,7/1000 per i figli di madri con obesità di grado 2-3 (BMI ≥ 35).
Dopo aver tenuto conto di variabili come età materna, etnia e livello socioeconomico, solo l’obesità più severa si è associata a un aumento statisticamente significativo del rischio di infezioni. I bambini di madri con obesità grave avevano il 41% di rischio in più di ricovero entro l’anno di età e il 53% di rischio in più tra i 5 e i 15 anni. L’associazione era più marcata nei maschi e tra i figli di donne pakistane rispetto a quelli di madri bianche britanniche. Le infezioni più frequenti erano respiratorie, gastrointestinali e virali multisistemiche.
Tra i fattori che potrebbero contribuire alla relazione tra obesità materna grave e infezioni infantili vi sono il parto cesareo, che spiega il 21% dell’associazione, e l’obesità infantile rilevata all’età di 4-5 anni, che incide per il 26%. La nascita pretermine, invece, gioca un ruolo più limitato, rappresentando circa il 7% dell’effetto. Al contrario, l’allattamento prolungato oltre le sei settimane e l’aumento di peso eccessivo durante la gravidanza non hanno mostrato associazioni significative con il rischio di infezioni.
Pur trattandosi di uno studio osservazionale – e quindi non in grado di stabilire un nesso di causa-effetto – gli autori sottolineano l’importanza dei risultati. Nonostante alcune limitazioni (come la mancanza di dati ambientali e lo studio condotto in un solo centro), i ricercatori concludono che anche un effetto modesto dell’obesità materna può avere un impatto rilevante se esteso a milioni di bambini nel mondo. “I risultati evidenziano l’urgenza di campagne di salute pubblica e interventi clinici mirati per aiutare le donne in età riproduttiva a raggiungere e mantenere un peso corporeo sano”, scrivono i ricercatori. “Prevenire l’obesità grave nelle future madri può ridurre significativamente il rischio di malattie infettive nei bambini”.
Fonte: BMJ Medicine
https://bmjmedicine.bmj.com/content/4/1/e001050