Ruolo di tecniche nuove e tradizionali di risonanza magnetica cardiaca nella malattia di Fabry

La risonanza magnetica cardiaca è il ‘gold standard’ per valutare il coinvolgimento cardiaco nella malattia di Fabry e per avere importanti informazioni, in modo non invasivo e riproducibile. Inoltre, questa tecnica di imaging è in grado di differenziare la malattia rara da altre patologie cardiache, evitando, così, diagnosi errate per il paziente. A sostenerlo è uno studio pubblicato sul British Journal of Radiology da un gruppo di ricercatori italiani coordinati da Gloria Caredda, del dipartimento di radiologia della Azienda Ospedaliera di Cagliari.


La malattia di Fabry è una patologia rara dovuta a diverse mutazioni del gene galattosidasi α, che portano a un deficit di enzima α-galattosidasi A e all’accumulo di glicosfingolipidi in diversi organi, incluso il cuore. Questo determina infiammazione cardiaca, ipetrofia del ventricolo sinistro e fibrosi. In questo contesto, l’ecocardiografia e la risonanza magnetica cardiaca, in particolare con nuove tecniche quali l’analisi della mappatura, la valutazione del cosiddetto ‘late gadolinium enhancement’ e lo strain imaging, sono strumenti importanti, come evidenzia il team.


Infine, grazie alla stretta correlazione con le caratteristiche ecocardiografiche, le misurazioni dei valori T1 e la mappatura di perfusione consentono di rilevare precocemente il coinvolgimento cardiaco, prima che si evidenzino l’ipertrofia del ventricolo sinistro e la fibrosi, quando, cioè, secondo gli autori, la terapia enzimatica sostitutiva può avere i maggiori effetti.


Fonte: British Journal of Radiology

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