Terapia intensiva: la misurazione invasiva della pressione sanguigna può migliorare gli esiti

La misurazione invasiva della pressione sanguigna (IBP) è stata associata a una minore mortalità intraospedaliera nei pazienti critici con ipertensione. Questo è quanto riferisce uno studio pubblicato su Frontiers in Cardiovascular Medicine, che ha evidenziato l’importanza di questa metodica nell’unità di terapia intensiva.


“La misurazione della pressione sanguigna invasiva è comune nell’unità di terapia intensiva, ma la sua associazione con la mortalità intraospedaliera nei pazienti critici con ipertensione è poco conosciuta” esordisce Bin Zhou, del Third Affiliated Hospital della Sun Yat-sen University, Guangzhou, China, primo nome dello studio.


Per approfondire l’argomento, i ricercatori hanno arruolato 11.732 pazienti critici con ipertensione iscritti all’eICU-Collaborative Research Database (eICU-CRD). I pazienti sono stati divisi in due gruppi a seconda che abbiano ricevuto o meno la misurazione invasiva della pressione sanguigna.


Per bilanciare le covariate confondenti sono stati utilizzati i modelli di corrispondenza del punteggio di propensione (PSM) e di probabilità inversa di pesatura del trattamento (IPTW).


L’analisi dei dati ha mostrato che il gruppo IBP ha avuto un più alto tasso di mortalità in ospedale rispetto al gruppo senza IBP nella coorte primaria, ma nella coorte PSM il gruppo IBP ha avuto un tasso di mortalità intraospedaliera inferiore rispetto al gruppo senza IBP. La misurazione IBP è stata associata a una minore mortalità intraospedaliera nella coorte PSM e nella coorte IPTW. Le analisi di sensibilità hanno mostrato risultati simili nei sottogruppi con indice di massa corporea elevato e senza sepsi.


Fonte: Frontiers in Cardiovascular Medicine

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