Nel mondo 8 persone su 10 ritengono erroneamente che la demenza sia una normale conseguenza dell’invecchiamento, piuttosto che una condizione medica. Una convinzione sbagliata dilagata negli anni: 5 anni fa la percentuale di persone che rispondevano così era del 66%. Anche tra gli operatori sanitari e assistenziali non pochi hanno la stessa opinione: il 65% (anche questo un dato +in crescita rispetto al 2019).
Ma peggiora anche lo stigma che circonda la demenza, con conseguenze pesanti su chi convive con la malattia: l’88% dichiara infatti di averlo sperimentato in prima persona, con un aumento di 5 punti percentuali rispetto al 2019 (83%); il 31% evita le situazioni sociali e il 36% ha smesso di cercare lavoro per paura di essere discriminato. Solitudine e isolamento coinvolgono anche chi si prende cura delle persone con demenza: il 47% non accetta più gli inviti di amici e familiari, il 43% non invita più ospiti a casa.
È questo il quadro che emerge dal Rapporto mondiale Alzheimer 2024, redatto dall’Adi – Alzheimer’s Disease International e diffuso in Italia dalla Federazione Alzheimer Italia in occasione della Giornata mondiale Alzheimer che si è celebrata il 21 settembre.
Il Report illustra i risultati della più vasta indagine globale, analizzati dalla London School of Economics and Political Science (Lse). 40mila gli intervistati in 166 Paesi – tra persone con demenza, caregiver, personale sanitario e assistenza e pubblico in general -, sulle convinzioni, i comportamenti e gli atteggiamenti nei confronti della demenza e i cambiamenti avvenuti rispetto alla prima ricerca di questo tipo, risalente al 2019.
I dati preoccupano “enormemente”, afferma Katia Pinto, presidente della Federazione Alzheimer, se si considera che “in Italia sono 1.480.000 le persone con demenza, destinate a diventare 2,3 mln entro il 2050”. Lo stigma, osserva Pinto, “porta con sé isolamento sociale, che è un comprovato fattore di rischio per la demenza e può contribuire a peggiorarne i sintomi e la salute mentale in generale, non solo della persona che ne è colpita, ma anche dei suoi familiari”.
Per Pinto c’è dunque ancora molto da fare. Anche se, ammette, dal Rapporto mondiale emergono anche dei dati positivi. La maggior parte degli intervistati si sente più sicura nello sfidare lo stigma e la discriminazione rispetto al 2019, soprattutto nei Paesi ad alto reddito (64%). E sempre più persone sono consapevoli degli effetti del proprio stile di vita sul rischio di sviluppare la patologia, con oltre il 58% del pubblico in generale che ritiene che la demenza sia causata da abitudini non sane. Più del 96% poi crede nell’importanza di una diagnosi medica. Cresce anche la consapevolezza a livello politico-sociale: l’80% dei comuni cittadini ritiene di poter cambiare il sostegno fornito alle persone con demenza attraverso il proprio voto, oltre il 93% pensa che ci siano cose che si possono fare per migliorare la vita delle persone con demenza.
“È giusto sottolineare anche questi aspetti incoraggianti – prosegue Pinto – noi lo ribadiamo da sempre: la vita di una persona non finisce con la diagnosi di demenza, ed è confortante sapere che questa affermazione è sempre più condivisa. La Federazione Alzheimer ha avviato il progetto Dementia Friendly Italia per combattere lo stigma e costruire una società in cui le persone con demenza e le loro famiglie possano sentirsi sempre accolte e comprese. Continueremo su questa strada, ma serve l’impegno di tutti: governi, istituzioni, professionisti sanitari, semplici cittadini. Solo così potremo abbattere il muro di vergogna ed errate conoscenze che ancora troppo spesso impedisce alle persone con demenza di ricevere un’assistenza adeguata e completa e di vivere una vita piena e dignitosa”.
Il Rapporto contiene anche 24 saggi di esperti di tutto il mondo su questioni generali relative all’atteggiamento nei confronti della demenza, nonché casi studio riguardanti lo stigma e le iniziative per combatterlo.
Un elemento importante sono anche gli operatori sanitari: “Opinioni scorrette sulla demenza” da parte loro, avverte Paola Barbarino, amministratrice delegata di Adi, “possono ritardare la diagnosi e l’accesso al trattamento, all’assistenza e al supporto adeguati. È necessario che tutte le persone appartenenti a questa categoria professionale siano pienamente consapevoli e convinte del fatto che la demenza è una condizione medica causata da un insieme di cause, tra le quali l’Alzheimer è la più diffusa. Solo così potranno offrire alle persone con demenza una vera presa in carico, che consenta loro di mantenere la miglior qualità di vita possibile il più a lungo possibile”.
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