La sanità italiana è sottofinanziata rispetto all’Europa. Il rapporto Svimez
28.11.2024 | Quotidiano Sanità
Tra le aree della spesa pubblica più delicate, quella sanitaria ha un ruolo preminente. Dopo la pandemia, sulla sanità si erano accesi i riflettori dell’opinione pubblica e della politica. Poi il sipario è sceso, ma i problemi sono rimasti e tenderanno, in un contesto di contrazione della spesa reale, a esacerbare le disuguaglianze tra cittadini e territori. Il governo si è impegnato a dare priorità alla spesa sanitaria. Nel quadro tendenziale di finanza pubblica, le leggi vigenti comportano che questa aumenti nei prossimi anni più della ‘spesa netta’, tuttavia questo non è sufficiente neanche a garantire l’invarianza della spesa sanitaria in quota di Pil, prevista in diminuzione dal 6,0% del 2025 al 5,9% del 2027″.
Questo quanto emerge dal nuovo Rapporto Svimez presentato ieri.
Scendendo più nel dettaglio, il gap con gli altri grandi Paesi europei va peggiorando. “La sanità italiana soffre di un problema strutturale di sottofinanziamento. La spesa per abitante in termini reali è cresciuta solo del 5% tra il 2002 e il 2019 (+15% in Germania, +13% in Francia, +10% in Spagna), tornando nel 2023 ai 1.760 euro pro capite del 2019, un dato molto lontano dai valori di Germania (3.758 euro) e Francia (3.186), meno anche della Spagna (1.918)”.
Il governo si è impegnato a dare priorità agli investimenti pubblici. La Svimez individua nel Rapporto i due ambiti nevralgici di intervento: le infrastrutture sociali, per i servizi sanitari e per la scuola. “Perché non c’è crescita vera se non migliorano, di pari passo, le condizioni di accesso ai diritti di cittadinanza”.
Nei Ssr meridionali i servizi di prevenzione e cura sono più carenti, maggiori i tempi di attesa per l’erogazione di molte prestazioni, minori i livelli di spesa. “L’ultimo monitoraggio sui Lea per il 2022 evidenzia che, con l’eccezione di Puglia e Basilicata, le regioni del Mezzogiorno sono inadempienti: in almeno uno dei tre ambiti di assistenza (prevenzione, distrettuale e ospedaliera) non raggiungono il punteggio minimo di 60 su una scala tra 0 e 100. Al Sud più che nel resto del Paese, alla strutturale sotto-dotazione di risorse si associano maggiori difficoltà di adempiere ai Lea. Escludendo dai criteri di allocazione i fattori socioeconomici che impattano sui fabbisogni di cura e assistenza, il riparto regionale delle risorse per la sanità penalizza i cittadini delle regioni del Mezzogiorno. La presa in conto di questi fattori (povertà, istruzione, deprivazione sociale) renderebbe la distribuzione del finanziamento nazionale tra Ssr più coerente con le finalità di equità orizzontale del Ssn”.
I divari Nord/Sud nella prevenzione sono particolarmente evidenti. Nel biennio 2022- 2023, 7 donne italiane su 10 di 50-69 anni hanno avuto accesso agli screening mammografici a cadenza biennale, 5 su 10 nell’ambito di un programma organizzato. Questa media nazionale nasconde profondi differenziali territoriali. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia: 9 donne su 10, quasi 7 nell’ambito di un programma organizzato. L’ultima è la Calabria: solo 2 donne su 10, appena 1 su 10 nell’ambito di un programma organizzato.
La mobilità sanitaria interregionale riflette le disparità tra diversi Ssr nella quantità e qualità di offerta assistenziale. La mobilità da Sud verso le regioni centro-settentrionali si è ormai “cronicizzata”. La presenza di centri di eccellenza per patologie specifiche e, più in generale, un’assistenza sanitaria ritenuta qualitativamente migliore dai cittadini, determina la forte capacità attrattiva delle strutture sanitarie del Centro e del Nord.
Nel 2022 la mobilità passiva ha interessato 629mila pazienti, il 44% dei quali residente in una regione del Sud. Nello stesso anno, i Ssr meridionali hanno attirato 98mila pazienti, solo il 15% della mobilità attiva totale. Complessivamente, i malati oncologici residenti al Mezzogior- no che ricevono cure presso un Ssr di una regione del Centro-Nord sono 12.401, circa il 20% dei pazienti oncologici meridionali da un minimo del 15% della Campania a un massimo del 41% della Calabria. Al Sud non mancano le esperienze positive, come il modello innovativo della Rete Oncologica Campana, sulle quali bisognerebbe investire per rafforzare l’offerta di percorsi di cura territorialmente omogenei e ridurre le diseguaglianze di accesso alle cure.
Nell’ambito dell’assistenza domiciliare e per i due investimenti di natura infrastrutturale di Case e Ospedali di comunità, il Pnrr ha utilizzato un metodo di riparto regionale delle risorse che rappresenta un importante passaggio verso l’adozione di criteri di allocazione perequativi, in grado di tener conto delle diverse situazioni di partenza e dei differenti fabbisogni di cittadini e territori. Lo stato di attuazione delle misure si presenta in linea con gli obiettivi nazionali per l’assistenza domiciliare, ma preoccupano i ritardi del Sud. Buona parte delle Regioni ha raggiunto i rispettivi obiettivi intermedi al 2023 di pazienti over 65 aggiunti dai servizi, in molti casi anche con margini sensibilmente elevati. Quattro regioni meridionali non conseguono il target: Calabria, Sardegna, Campania e Sicilia. Particolarmente preoccupante è la situazione della Sicilia, il cui ritardo (appena 200 pazienti aggiuntivi raggiunti invece dei 39.121 previsti al 2023) potrebbe mettere a rischio il conseguimento del target nazionale finale fissato 2026 (10% della popolazione over 65).
Con riferimento all’assistenza domiciliare, occorrerà trovare le opportune risorse per mantenere nel tempo l’obiettivo del 10% della popolazione assistita over 65 e soprattutto garantire continuità all’assistenza agli ulteriori 883mila anziani che si prevede ne beneficeranno grazie alle risorse del Pnrr. Un tema sostanzialmente analogo concerne il pieno e efficace funzionamento delle infrastrutture sanitarie del territorio, che dovranno essere dotate del personale sanitario necessario a garantirne il funzionamento. Con riferimento a quest’ultimo aspetto, l’assenza di addizionalità e di una riserva esplicita rendono di fatto incerta l’autorizzazione di spesa prevista dalla Legge di Bilancio a valere sul finanziamento del Sistema sanitario nazionale.