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Un’analisi di sei trial clinici randomizzati (RCT) ha evidenziato che lo screening della fibrillazione atriale (FA) è associato a una maggiore identificazione della patologia e a un aumento nell’inizio della terapia anticoagulante orale, con una riduzione degli eventi tromboembolici. Lo studio è stato pubblicato su European Heart Journal – Quality of Care and Clinical Outcomes.
La FA è una delle aritmie più comuni e un importante fattore di rischio per ictus ischemico e altre complicanze tromboemboliche. Tuttavia, le raccomandazioni delle società scientifiche sullo screening della FA rimangono divergenti a causa dell’incertezza sui benefici clinici. Questo studio ha sintetizzato i dati di RCT esaminando l’impatto dello screening sulla prevenzione di tromboembolia, sanguinamenti maggiori e mortalità.
L’analisi ha incluso 74.145 pazienti provenienti da sei RCT pubblicati fino al 5 settembre 2024, confrontando lo screening attivo con l’assenza di intervento. Lo screening è risultato associato a un rischio significativamente maggiore di diagnosi di FA (RR 2,54; IC 95%: 1,57–4,11; p < 0,001) e a un aumento nell’avvio della terapia anticoagulante orale (RR 2,19; IC 95%: 1,51–3,18; p < 0,001).
Dal punto di vista clinico, i pazienti sottoposti a screening hanno mostrato una lieve riduzione dell’incidenza di ictus ischemico (RR 0,93; IC 95%: 0,87–1,00; p = 0,048) e di eventi tromboembolici, comprendenti ictus ischemico, attacco ischemico transitorio (TIA) ed embolia sistemica (RR 0,93; IC 95%: 0,87–0,99; p = 0,026).
Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa per quanto riguarda il rischio di sanguinamento maggiore (RR 0,99; IC 95%: 0,93–1,06; p = 0,830), ictus emorragico (RR 0,94; IC 95%: 0,80–1,11; p = 0,497) e mortalità per tutte le cause (RR 0,99; IC 95%: 0,95–1,02; p = 0,411).
In conclusione, i risultati di questa meta-analisi suggeriscono che lo screening della fibrillazione atriale potrebbe apportare benefici clinici, in particolare nella riduzione degli eventi tromboembolici, pur non influenzando significativamente il rischio emorragico o la mortalità complessiva.
Fonte: European Heart Journal
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