Aumentano nel 2023 i cittadini che rinunciano alle prestazioni sanitarie
19.04.2024 | Quotidiano Sanità
Il fenomeno della rinuncia a prestazioni sanitarie contribuisce a riconoscere il livello di equità nell’accesso ai servizi sanitari. L’indicatore esamina il mancato accesso a visite mediche – escluse quelle odontoiatriche – o accertamenti diagnostici ritenuti necessari in un anno, dovuto a problemi economici o legati a caratteristiche dell’offerta, come lunghe liste di attesa, o difficoltà nel raggiungere i luoghi di erogazione del servizio. La quota delle persone che hanno dovuto fare a meno delle cure ammonta al 7,6% sull’intera popolazione nel 2023, in aumento rispetto al 7,0% dell’anno precedente. È quanto emerge dal Rapporto Bes 2023 pubblicato dall’Istat.
Con 372 mila persone in più si raggiunge un contingente di circa 4,5 mln di cittadini che hanno dovuto rinunciare a visite o accertamenti per problemi economici, di lista di attesa o difficoltà di accesso. Tale incremento può attribuirsi a conseguenze dirette e indirette dello shock pandemico, come il recupero delle prestazioni in attesa differite per il COVID-19 o la difficoltà di riorganizzare efficacemente l’assistenza sanitaria, tenuto conto dei vincoli a coprire l’aumento della domanda di prestazioni con un adeguato numero di risorse professionali e, non ultima, la spinta inflazionistica della congiuntura economica, che ha peggiorato la facoltà di accesso ai servizi sanitari.
La quota della rinuncia a prestazioni sanitarie cresce all’aumentare dell’età. Nel 2023, partendo dall’1,3% rilevato tra i bambini fino ai 13 anni, la quota mostra un picco nell’età adulta tra i 55-59enni, dove raggiunge l’11,1%, per restare elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%). Tuttavia, l’incremento tra il 2022 e il 2023 riguarda solo la popolazione adulta (18-64 anni), che passa dal 7,3% all’8,4%. Si confermano le ben note differenze di genere: la quota di rinuncia è pari al 9,0% tra le donne e 6,2% tra gli uomini, con un divario che si amplia ulteriormente nell’ultimo anno per l’aumento registrato tra le donne adulte. Sul territorio, l’incremento del 2023 rispetto all’anno precedente si concentra soprattutto al Centro (dal 7,0% all’8,8%) e al Sud (dal 6,2% al 7,3%), cosicché riemergono i differenziali geografici delle macroaree, che si erano attutiti tra il 2020 e il 2021 e completamente annullati nel 2022: nel Centro si registra la più alta quota di rinuncia (8,8%), segue il Mezzogiorno con il 7,7%, mentre il Nord con 7,1% mantiene lo stesso livello del 2022. Sono poche le regioni che nel 2023 tornano a livelli più bassi del 2019, sebbene qualcuna sia anche riuscita a ridurli ulteriormente.
Nel Mezzogiorno, spicca la Calabria che ha ridotto la quota di persone che rinunciano a prestazioni rispetto al 2019 (-3 p.p.), con livelli di consumo di servizi sanitari già molto più contenuti rispetto al resto delle regioni (nel 2019 era seconda solo alla Sardegna). La Sardegna, con i più alti tassi di rinuncia già nel 2019 (11,7%), continua ad aumentarli (13,7% nel 2023), pur avendo parzialmente recuperato il livello più elevato mai raggiunto da nessuna regione nel 2021, ossia il 18,3%. Tra le regioni del Centro, a parte la Toscana che torna al valore del 2019, il Lazio raggiunge il 10,5% (era 6,9% nel 2022 e 7,6% nel 2019) e le Marche il 9,7% (era circa il 7% sia nel 2022 sia nel 2019). Nel Nord il tasso di rinuncia maggiore si registra in Piemonte con l’8,8%, seguito dalla Liguria, con il 7,8% (entrambe le regioni aumentano di 3 p.p. rispetto al 2019).
Il 4,5% della popolazione complessiva nel 2023 dichiara di rinunciare a causa delle lunghe liste di attesa e il 4,2% lo fa per motivi economici. Rispetto al 2019, la quota di rinuncia causata dai tempi di attesa raddoppia quasi (era 2,8%), mentre si riallinea la rinuncia a prestazioni per motivi economici (era infatti 4,3%). Rispetto al 2022, si consolidano quindi i noti problemi delle liste di attesa (+0,7 p.p.), ma cresce soprattutto la quota di chi rinuncia per motivi economici, che guadagna 1,3 punti percentuali in un solo anno. Diventa residuale la quota di chi rinuncia per problemi dovuti al COVID-19 (0,1%, era 5,9% nel 2021). Nel 2023, le disuguaglianze sociali nella rinuncia a prestazioni mostrano differenziali minori rispetto al periodo pre-COVID e si annullano del tutto tra gli adulti di 45-64 anni: 10,4% tra coloro che hanno solo il titolo di studio della scuola dell’obbligo e 10,6% tra chi ha conseguito almeno una laurea.