In Italia la spesa sanitaria pro capite è di 586 euro più bassa rispetto alla media europea
In Italia la spesa sanitaria pro capite è stata pari a 2.947 euro nel 2022, di 586 euro […]
Migliorano appropriatezza, aderenza terapeutica e uso dei generici. Ma la spesa totale sfonda i 36 miliardi. Il Rapporto OsMed di Aifa
Consumo degli antibiotici in aumento, nonostante campagne e appelli a un loro uso consapevole per arginare il fenomeno della antibiotico-resistenza. Impennata di due sottogruppi di farmaci in grado di ridurre in modo significativo il peso corporeo. Differenze regionali nel consumo dei medicinali, non spiegabili dal punto di vista epidemiologico, ma frutto di una inappropriatezza prescrittiva e dei consumi sulla quale c’è ancora da lavorare. Generici ancora in rampa di lancio, con un consumo pari al 22,8% che ci colloca nel terz’ultimo posto della classifica europea. Incremento vicino al 10% dei farmaci di fascia C acquistati direttamente dal cittadino, per una spesa che supera i 7 miliardi di euro, spinta da prezzi più alti e prescrizioni orientate su quelli più costosi. Sono i punti salienti del Rapporto OsMed 2023 sull’uso dei medicinali in Italia, redatto dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e presentato ieri a Roma.
I dati generali di spesa
Nel 2023 la spesa farmaceutica totale è stata pari a 36,2 miliardi di euro, di cui il 68,7% rimborsato dal SSN. La spesa territoriale pubblica, comprensiva di quella convenzionata e in distribuzione diretta e “per conto”, è stata di 12 miliardi e 998 milioni, con un aumento rispetto all’anno precedente del 3%. La spesa per compartecipazione a carico del cittadino è stata invece pari a 1 miliardo e 481 milioni, circa 25 euro pro-capite, dato in calo dell’1,3% dovuto alla riduzione del 2,5% del differenziale di prezzo rispetto al generico dovuto da chi acquista invece il farmaco “originator”. Aumenta invece dell’1,7% la spesa per i ticket sulla ricetta o la confezione. La spesa per i farmaci acquistati dalle strutture pubbliche è stata pari a 16,2 miliardi di euro e ha registrato una crescita dell’8,4% rispetto al 2022.
I consumi
Nel 2023 in Italia ogni giorno sono state consumate complessivamente 1.899 dosi di medicinali ogni 1000 abitanti, il 69,7% delle quali erogate a carico del SSN e il restante 30,3% acquistate direttamente dal cittadino. Per quanto riguarda l’assistenza territoriale pubblica e privata, sono state erogate confezioni di farmaci per quasi 2 miliardi, con un andamento stabile rispetto all’anno precedente. I farmaci per il sistema cardiovascolare si confermano al primo posto per consumi (513,9 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e rappresentano la seconda categoria terapeutica a maggior spesa farmaceutica pubblica per il 2023 (3.557 milioni di euro), con una spesa pro capite SSN pari a 60,43 euro. Al secondo posto si collocano i farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo che rappresentano la seconda categoria in termini di consumi (298,6 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e i terzi in termini di spesa farmaceutica pubblica (3.321 milioni di euro). La spesa pro capite SSN è stata pari a 56,4 euro, in aumento del +2,2% rispetto all’anno precedente. I farmaci del sangue e organi emopoietici si sono collocati al terzo posto in termini di consumi (144,5 dosi giornaliere per 1000 abitanti) e al quinto in termini di spesa farmaceutica pubblica (2.587 milioni di euro). La spesa pro capite SSN è stata pari a 43,95 euro. I farmaci del sistema nervoso centrale si posizionano al quarto posto in termini di consumi (97,8 dosi giornaliere per 1.000 abitanti) e al sesto in termini di spesa farmaceutica pubblica complessiva (2.061 milioni di euro). La spesa pro capite SSN è stata pari a 34,88 euro.
Riguardo agli antidiabetici l’aumento di spesa del 7,6%, più alto della media degli ultimi 10 anni è legato sia a un aumento dei consumi (del 4,5%) che del costo medio per dose. Ma scendendo nel dettaglio si vede che a impennarsi sono in particolare due sottogruppi di farmaci in grado di ridurre in modo significativo il peso corporeo: gli analoghi del Glp-1, a cui appartiene la semaglutide, che registrano un aumento di spesa del 17,9% e dei consumi del 26,4%, con la sola semaglutide a impennarsi rispettivamente di +52,3 e +75,9%; le gliflozine, che registrano un aumento di spesa del 60,1% e dei consumi del 65,6%. Da rilevare che AIFA nel 2024 ha autorizzato l’immissione in commercio nella Fascia C dei prodotti non rimborsabili il Wegovy, in farmacia da luglio, medicinale a base di semaglutide ma con specifica indicazione terapeutica per la perdita del peso.
Risale il consumo di antibiotici
La diffusione dei batteri resistenti agli antimicrobici è indicata dall’OMS come una delle grandi emergenze sanitarie che nel 2050 potrebbe provocare oltre 39 milioni di morti nel mondo. Un problema che riguarda da vicino l’Italia, che ha la maggiore resistenza riscontrata in Europa (con 200mila pazienti l’anno colpiti da batteri resistenti), che causa 11mila vittime. Per questo desta preoccupazione la ripresa, a partire dal 2022, del consumo di antibiotici nel nostro Paese, aumentato del 6,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno quasi 4 persone su 10 hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico, con livelli più elevati al Sud, dove il 44,8% della popolazione ne ha assunto almeno uno in corso d’anno, contro il 30,9% del Nord e il 39,9% del Sud. Differenze che fanno riflettere anche sull’ appropriatezza delle prescrizioni e dei consumi.
In lieve costante crescita, oramai da 10 anni, il consumo degli antibatterici a prevalente uso ospedaliero. “Considerando che alcuni di questi antibiotici sono usati nel trattamento delle infezioni causate da microrganismi multi-drug resistant, tali dati – si legge nel Rapporto – suggeriscono la necessità di migliorare la sorveglianza delle infezioni nosocomiali nelle strutture sanitarie, garantendo una risposta tempestiva e adeguata alle infezioni. Emerge, pertanto, la necessità di implementare programmi di “Antimicrobial Stewardship” in particolar modo nelle popolazioni ad alta prevalenza d’uso per ottimizzarne il consumo e ridurre la resistenza antimicrobica”.
L’appropriatezza prescrittiva
Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace ed autorizzato se vengono rispettate le sue indicazioni d’uso, in termini di dosaggio e durata del trattamento. Il Rapporto OsMed mostra che c’è ancora da lavorare su entrambi i fronti. In termini di appropriatezza prescrittiva e d’uso, informazioni utili vengono dai dati di consumo disaggregati per regione, che mostrano differenze che non trovano giustificazione nei dati epidemiologici, che in più di un caso evidenziano un uso maggiore in aree dove non risulta una più alta incidenza delle patologie per il quale il farmaco è indicato. Partendo dagli antibiotici si osserva che in Italia il consumo medio nel 2023 è stato pari a 17,2 dosi giornaliere per 1000 abitanti, con un consumo che è però di 14,5 dosi a Nord, 20,3 al Sud, 18,2 al Centro. Ancora più marcate le differenze se si vanno ad osservare i dati delle singole Regioni dove si va dalle 11,1 dosi di Bolzano alle 22,4 dosi dell’Abruzzo, alle 21,7 della Campania e le 21,5 della Basilicata.
Non esistono studi che dimostrino una marcata prevalenza di ulcere peptiche e malattie da reflusso esofageo al Sud, dove ora si consumano 100,5 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti di farmaci contro queste malattie, in particolare gli inibitori della pompa acida, contro il 70,7 al Centro e il 77 al Nord. Con differenze regionali che vanno dalle 122,4 dosi della Campania o le quasi 100 della Basilicata, per scendere della metà e oltre in Umbria (50,7), Bolzano (51,2) e Toscana (56,7). Anche il consumo di antidiabetici è più alto al Sud (83,4 dosi giornaliere ogni 1000 abitanti contro le 64,5 del Nord e le 67,9 del Centro. Differenze dovute a una maggiore prevalenza d’uso, che è del 7,7% della popolazione meridionale contro il 6,5% della media nazionale.
Benché questi dati evidenzino una profonda differenziazione tra le regioni del Sud e, in alcuni casi, anche del Centro, rispetto al Nord Italia, tali dati non possono essere interpretati esclusivamente come una generica inappropriatezza delle scelte dei medici, avulsa dalle caratteristiche del contesto assistenziale e sociale in cui si determinano. Infatti, l’attività prescrittiva è la conseguenza e l’esito anche dell’interazione con i pazienti, dipende dalla fruibilità e dall’organizzazione dei percorsi assistenziali, accesso alla diagnosi e al monitoraggio dei trattamenti.
Aderenza alle terapie difficile per un anziano su tre che assume 10 o più farmaci
La scarsa aderenza del paziente alle prescrizioni del medico è la principale causa di non efficacia delle terapie farmacologiche. Nel caso di terapie croniche, inadeguati livelli di aderenza e persistenza al trattamento sono associati a un aumento degli interventi di assistenza sanitaria, morbilità e mortalità, rappresentando un danno sia per il paziente che per il Servizio Sanitario Nazionale. La popolazione anziana è quella più a rischio per la compresenza di più patologie che richiedono un trattamento farmacologico. Tanto che oramai un anziano su tre (il 28,5%) assume 10 o più farmaci diversi in corso d’anno, mentre il 68% degli over 65 ha ricevuto prescrizioni per almeno 5 medicinali diversi. Inoltre, dal Rapporto emerge che 3 pazienti su 10 assumono almeno 5 medicinali diversi per sei o più mesi l’anno, con un andamento crescente con l’aumentare dell’età, fino a toccare il picco del 44% degli ottantanovenni in politerapia con almeno 5 farmaci. Una condizione che rende più difficile l’aderenza alle terapie anche se, da un’analisi del tavolo AIFA sulla prescrizione di precisione, risulta che dal 2014 al 2022 il 30% dei pazienti in politerapia si è visto deprescrivere almeno un farmaco.
L’aderenza alla terapia varia a seconda della categoria terapeutica: maggiori criticità si osservano per le terapie farmacologiche per asma e BPCO (20% di pazienti con alta aderenza), per gli antidiabetici (34%) e gli ipolipemizzanti (44%); minori criticità si osservano per la terapia con farmaci per il trattamento dell’osteoporosi (68% di pazienti con alta aderenza) o dei disturbi genito-urinari (65% di pazienti con alta aderenza), per i farmaci antiaggreganti (62%), antipertensivi (53%) e anticoagulanti (52%), sebbene ci siano margini di miglioramento anche per queste categorie di farmaci. Per tutte le categorie terapeutiche analizzate poco più della metà dei pazienti erano ancora in trattamento dopo 12 mesi di terapia, con valori massimi per gli anticoagulanti (67%), mentre scarsi livelli di persistenza si osservano per la terapia farmacologica dell’asma e BPCO (7,5%). L’aderenza e la persistenza al trattamento subisce una progressiva riduzione con l’avanzare dell’età, con forti riduzioni nei soggetti più anziani (in particolare negli ultra-ottantacinquenni). Tendenzialmente le donne sono meno aderenti e persistenti degli uomini per tutte le categorie terapeutiche analizzate e le Regioni del Sud registrano livelli di aderenza e persistenza al trattamento più bassi rispetto alle altre aree geografiche, con la sola eccezione degli antidepressivi, per i quali si osservano invece valori simili da Nord a Sud.
Per tutte le categorie terapeutiche analizzate emerge un trend in lieve aumento sia dei pazienti aderenti che di quelli persistenti al trattamento, in modo più marcato per gli antidiabetici, categoria per la quale si osserva, rispetto all’anno precedente, un aumento dell’11% dei pazienti con alta aderenza e una riduzione del 12% di quelli con bassa aderenza, a cui si accompagna anche un incremento del 10% dei pazienti persistenti a un anno dall’inizio della terapia. Per quanto riguarda i farmaci per l’asma e la BPCO, sebbene si registri un aumento della quota di pazienti con alta aderenza (+4% rispetto al 2022), il numero di pazienti persistenti al trattamento ad un anno dall’inizio della terapia subisce una riduzione del 5% nel corso del 2023.
Generici, sale lievemente il consumo ma restiamo terzultimi in Europa
I generici erano il 9% nel 2011, sono saliti al 22,8% in termini di spesa, al 31,2% in termini di consumi. Il trend di crescita negli ultimi 5 anni è tuttavia limitato (3 punti percentuali) e il consumo di generici in Italia resta basso, soprattutto se confrontato a quello di altri Paesi europei. Secondo i dati IQVIA, l’Italia è infatti ancora terz’ultima in Europa, con i medicinali ex-originator che occupano ancora il 44,3% del mercato dei farmaci a brevetto scaduto. La media UE relativa al consumo di generici è invece del 51%, con Paesi come la Gran Bretagna che sono al 60%. L’Italia è invece prima per la diffusione del mercato dei biosimilari con l’80,8% del mercato dei farmaci biologici a brevetto scaduto. Nel ricorso ai farmaci a brevetto scaduto è evidente la profonda eterogeneità regionale, sia in termini di spesa che di consumo. In Calabria, Campania, Sicilia e Basilicata il ricorso agli equivalenti oscilla infatti tra il 19 e il 21%, mentre a Trento e in Lombardia i valori sono rispettivamente del 44 e 43%.
Quanta diffidenza accompagni ancora il consumo dei generici lo dimostrata il miliardo e 60 milioni (dato in lieve flessione del 2,5%) della compartecipazione per il differenziale di prezzo tra l’ex-originator e no branded che ancora nel 2023 gli assistiti hanno pagato di tasca propria pur avendo un’alternativa gratuita. Un dato in leggera flessione del 2,5% rispetto all’anno precedente, ma che corrisponde ancora a una spesa pro-capite di 23,5 euro al Sud, di quasi la metà, 13,3 euro, al Nord. Da un’analisi dell’AIFA sui generici introdotti dal 2021 è stata rilevata una riduzione del prezzo di circa il 20% rispetto all’originator, che ha sua volta già prima della commercializzazione dell’equivalente ha fatto in media registrare un ulteriore riduzione del prezzo.
Aumenta la spesa dei farmaci di fascia C
Spinta dall’aumento dei prezzi e dello spostamento delle prescrizioni su quelli più costosi cresce la spesa per i farmaci di fascia C pagati dai cittadini, che nel 2023 hanno speso 7,1 miliardi pari a un +9,8% rispetto al 2022. Il 54% della spesa (3,8 miliardi) è relativo a medicinali con obbligo di ricetta, il restante 46% a prodotti di automedicazione. Le categorie di farmaci di classe C con ricetta maggiormente acquistati dai cittadini nel 2023 si confermano essere le benzodiazepine, i contraccettivi orali e i farmaci per la disfunzione erettile per i quali sono stati spesi 250 milioni di euro. Tra i farmaci di automedicazione, l’ibuprofene, seguito dal diclofenac, rappresenta il primo principio attivo per spesa. Tra i farmaci di fascia A acquistati privatamente dai cittadini, l’amoxicillina in associazione all’acido clavulanico e il colecalciferolo risultano quelli a maggior spesa, con un incremento rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 16,9% e 21,5%. Tra i farmaci da automedicazione la categoria più gettonata sono i derivati dell’acido propionico (FANS) con il 12,6% della spesa complessiva con un valore di 416,3 milioni di euro. Per i farmaci di fascia C con ricetta a determinare la crescita della spesa sono stati l’aumento dei prezzi del 6,8% e la prescrizione di medicinali più costosi (effetto mix +2,1%), mentre i consumi restano invariati.
Cala invece la spesa sostenuta direttamente dalle Regioni per i farmaci di fascia C, che il “Decreto Balduzzi” del 2012 ha autorizzato ad acquistare direttamente dalle aziende in attesa della negoziazione del prezzo in Italia, la cosiddetta C-NN. Un segnale della accelerazione delle procedure autorizzative e da parte di AIFA. La spesa dei farmaci classificati in fascia C-NN è stata infatti di 47,5 milioni, in calo del 63,1% rispetto all’anno precedente.
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