Malattie cardiovascolari, l’Europa rallenta. Ancora un terzo dei decessi, costi per 282 miliardi l’anno

L’Italia tra i Paesi a mortalità più contenuta

Le malattie cardiovascolari continuano a rappresentare la principale minaccia per la salute pubblica in Europa. Nonostante mezzo secolo di prevenzione e innovazione clinica, oggi i progressi si sono fermati e, in alcune aree, stanno regredendo. Un segnale d’allarme che riguarda anche l’Italia, chiamata a rafforzare prevenzione, presa in carico e continuità assistenziale.

Un peso ancora enorme sulla salute degli europei

Le malattie cardiovascolari (CVD) restano la prima causa di morte nell’Unione europea, responsabili di un decesso su tre. Nel 2022 si sono registrati 1,7 milioni di morti e 62 milioni di persone convivono con una patologia cardiovascolare. Dopo decenni di riduzioni costanti di mortalità e morbilità, negli ultimi anni i miglioramenti si sono rallentati e in alcuni Paesi si osserva una vera inversione di tendenza.

Forti disuguaglianze tra Paesi

Il quadro europeo è segnato da profonde differenze geografiche. I Paesi dell’Europa centrale e orientale continuano a registrare tassi di mortalità cardiovascolare nettamente più elevati rispetto a quelli dell’Europa occidentale e meridionale. La pandemia da Covid-19 ha aggravato queste disuguaglianze: Stati con già alti livelli di mortalità, come Bulgaria, Romania, Lettonia e Lituania, hanno visto un aumento dei tassi standardizzati tra il 2019 e il 2021. Al contrario, Paesi con livelli più bassi hanno contenuto l’impatto o continuato a migliorare, con Lussemburgo e Portogallo tra quelli che hanno registrato le maggiori riduzioni.

In questo contesto, l’Italia rientra nel gruppo dei Paesi dell’Europa occidentale e meridionale con livelli di mortalità cardiovascolare più contenuti rispetto alla media UE, pur rimanendo elevato il carico complessivo di malattia in termini assoluti.

Uomini più colpiti, ma qualità della vita ridotta per tutti

In quasi tutti i Paesi UE, la mortalità per malattie circolatorie è dal 26% al 60% più alta negli uomini rispetto alle donne. La mortalità prematura, sotto i 65 anni, è oltre tre volte superiore negli uomini. Al di là delle differenze di genere e di area geografica, vivere con una patologia cardiovascolare significa peggiore qualità della vita, con impatti negativi su benessere psicologico, salute fisica e mentale. Disparità che riflettono differenze nell’accesso ai servizi, nella qualità delle cure e nella performance dei sistemi sanitari.

Un costo economico che pesa quanto il cancro

Oltre all’impatto sanitario, le CVD rappresentano una delle principali voci di spesa per l’Unione europea. Nel 2021 il costo economico complessivo è stato stimato in 282 miliardi di euro l’anno, pari a circa il 2% del Pil europeo, ovvero 630 euro per cittadino. La spesa include costi sanitari diretti, assistenza sociale, cure informali e perdite di produttività. Il peso combinato di spesa sanitaria e assistenza informale per le CVD è superiore a quello del cancro, in alcuni casi quasi doppio, con un impatto rilevante anche sulle famiglie e sui caregiver. Un quadro che riguarda da vicino anche il Servizio sanitario nazionale italiano.

Invecchiamento e fattori di rischio spingono il carico futuro

Tutti i Paesi UE stanno invecchiando: la popolazione con più di 65 anni passerà dal 22% nel 2024 al 29% nel 2050. Questo fenomeno potrebbe determinare un aumento fino al 90% della prevalenza di CVD in Europa tra il 2025 e il 2050. A ciò si somma l’elevata diffusione dei fattori di rischio: oltre il 75% dei decessi cardiovascolari è legato a fattori modificabili. I rischi metabolici – ipertensione, diabete e obesità – pesano per il 68%, quelli comportamentali per il 37%, quelli ambientali per il 18%. Nell’UE una persona su cinque vive con ipertensione, una su sette con obesità e una su 13 con diabete.

Screening e continuità assistenziale: nodi irrisolti

Nonostante la semplicità delle misurazioni, oltre il 30% degli adulti tra 45 e 54 anni non ha controllato la pressione arteriosa nell’ultimo anno e circa il 6% non l’ha misurata negli ultimi cinque anni. Analoghe lacune emergono per colesterolo e glicemia. Tuttavia, lo screening da solo non basta: senza diagnosi tempestiva, trattamento adeguato e supporto al paziente, i benefici si riducono drasticamente.

Ospedalizzazioni evitabili e ruolo delle cure primarie

Nel 2023, nei Paesi UE si sono registrati in media 232 ricoveri evitabili ogni 100 mila abitanti per scompenso cardiaco cronico, con differenze di oltre quattro volte tra i Paesi. Allinearsi ai migliori risultati OCSE permetterebbe di risparmiare fino a 45 miliardi di euro, pari al 16% della spesa totale per CVD. Le persone con patologie cardiovascolari restano comunque due volte più ospedalizzate rispetto al resto della popolazione e il 14% delle dimissioni ospedaliere è legato a queste malattie.

Digitale e modelli centrati sulla persona ancora poco diffusi

Cartelle cliniche elettroniche, telemedicina, dispositivi indossabili e intelligenza artificiale potrebbero migliorare prevenzione e gestione delle CVD, ma l’adozione resta limitata. Meno della metà dei Paesi UE utilizza i dati delle EHR per monitorare l’impatto delle malattie cardiovascolari. Solo Francia, Repubblica Ceca e Norvegia dispongono di politiche nazionali sui dispositivi wearable, e solo la Francia integra sistematicamente questi dati nei sistemi sanitari. Anche in Italia, il potenziale del digitale resta in parte inesplorato.

La sfida per l’Italia

Il quadro europeo indica chiaramente che nessun Paese può considerarsi al riparo. Per l’Italia, che parte da livelli di mortalità relativamente più bassi, la sfida è consolidare i risultati e prevenire un’inversione di tendenza, investendo in prevenzione, diagnosi precoce, integrazione tra ospedale e territorio, alfabetizzazione sanitaria e modelli di cura realmente centrati sulla persona.

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