Sepsi pediatrica, il nuovo strumento diagnostico fallisce nel rilevare il 95% dei casi

Uno strumento pensato per salvare vite si è rivelato inadeguato. È questo, in sintesi, il risultato allarmante dello studio pubblicato su The Lancet Regional Health – Western Pacific e coordinato dal Murdoch Children’s Research Institute (MCRI), secondo cui meno del 5% dei bambini ricoverati con sospetta sepsi soddisfa i criteri del Phoenix Sepsis Score.

Per l’Associate Professor Elliot Long, autore principale della ricerca, la conclusione è chiara: “la percentuale così alta di casi mancati è preoccupante, perché la sepsi è una condizione potenzialmente fatale che richiede interventi medici immediati”.

Difficile da diagnosticare, la sepsi è una risposta estrema dell’organismo a un’infezione, che può danneggiare tessuti sani e compromettere gravemente il funzionamento di organi vitali come cuore, reni, fegato e polmoni. Ogni anno colpisce 25 milioni di bambini, provocando oltre 3 milioni di decessi a livello globale. Non a caso, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato la sepsi pediatrica come priorità di salute pubblica.

“La sepsi e le infezioni gravi sono tra le principali cause di mortalità infantile”, spiega Long. “È fondamentale riconoscerla rapidamente e iniziare il trattamento senza ritardi. Ma sappiamo ancora poco sulla sua incidenza nei bambini e sui sintomi utili per una diagnosi precoce, sia per i genitori sia per i medici”.

Per colmare questo vuoto, la Society of Critical Care Medicine aveva recentemente validato il Phoenix Sepsis Score, uno strumento che prometteva di migliorare l’identificazione precoce dei casi. Lo studio condotto da MCRI è il primo a testarne l’efficacia in contesti reali: 11 ospedali in Australia e Nuova Zelanda, appartenenti al network PREDICT, hanno partecipato all’indagine.

Su 6232 bambini sotto i 18 anni con sospetta sepsi, solo 306 soddisfacevano i criteri Phoenix. “Il punteggio non ha rilevato il 95% dei casi”, denuncia Long. “È un dato che preoccupa medici, ricercatori, decisori politici e famiglie, perché non racconta l’intera portata del problema”.

Il quadro clinico dei bambini che invece soddisfacevano i criteri era severo: l’80% è stato ricoverato in terapia intensiva, la quasi totalità ha richiesto interventi medici urgenti come la ventilazione, e i tempi di degenza sono stati tripli rispetto agli altri pazienti.

Più inquietante ancora, più della metà dei bambini deceduti entro 90 giorni non soddisfaceva i criteri Phoenix. Su 87 decessi totali, solo 42 rientravano nei parametri previsti.

“Non riuscire a identificare questi bambini prima del ricovero in terapia intensiva comporta ritardi critici nelle cure e impatta negativamente sul loro recupero”, osserva Long.

Una testimonianza concreta arriva dalla storia di Macy, oggi una bambina di 7 anni, ricoverata a 18 mesi per infezione delle vie urinarie e sepsi. La madre, Kate, racconta di averla portata in ospedale per febbre e dolore durante la minzione. “I medici sospettavano una UTI, ma decisero di sospendere il trattamento in attesa dei risultati”, spiega. “Ci vollero circa 18 ore, durante le quali Macy peggiorò drasticamente”.

Durante la notte, la piccola ebbe tachicardia, divenne pallida e fredda al tatto. Fu trasferita al Royal Children’s Hospital, dove ricevette fluidi endovenosi e antibiotici. “È stato spaventoso vedere tutto questo succedere”, ricorda Kate.

Dopo una settimana in ospedale, Macy si è completamente ripresa. Ma per sua madre, la lezione è chiara: “i bambini devono essere diagnosticati precocemente, qualunque sia l’ospedale o il medico. Anche un’infezione semplice può diventare una questione di vita o di morte se non trattata tempestivamente”.

Alla luce di questi risultati, Long ha ottenuto un finanziamento da 5 milioni di dollari dal Medical Research Future Fund (MRFF) per lanciare un trial innovativo in Australia e Nuova Zelanda. L’obiettivo è testare diversi trattamenti per la sepsi in parallelo, superando i limiti della sperimentazione tradizionale.

Secondo Franz Babl, professore al MCRI, la ricerca offre nuove speranze: “non abbiamo cambiato in modo sostanziale la gestione della sepsi infantile negli ultimi 20 anni. Esistono enormi lacune di conoscenza, e alcuni trattamenti attuali possono addirittura danneggiare i pazienti. I bambini hanno urgente bisogno di alternative sicure ed efficaci”.

Fonte: The Lancet Regional Health – Western Pacific

https://www.thelancet.com/journals/lanwpc/article/PIIS2666-6065(25)00145-2/fulltext

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