L’anno 2023, il primo intero di Governo Meloni, che ci siamo lasciati alle spalle per quanto riguarda la sanità potrebbe essere incasellato come l’anno della riorganizzazione. È stato predisposto il nuovo regolamento del Ministero con il ritorno dei Dipartimenti e la revisione delle direzioni generali e la scomparsa della figura del Segretario generale. Il percorso, con le nuove nomine tra cui anche il nuovo Consiglio superiore di sanità, in modo da poter ridefinire l’assetto nelle stanze dei bottoni di Lungotevere Ripa e Via Ribotta.
C’è stata poi la travagliata riorganizzazione dell’Agenzia italiana del farmaco con la scomparsa della figura del Direttore generale e il nuovo ruolo della presidenza. Il ritorno della Commissione unica in sostituzione delle di Cpr e Cts così come la messa a regime delle due figure del Direttore amministrativo e del Direttore tecnico scientifico.
Un cambio si è assistito anche all’Istituto superiore di Sanità dove è stato nominato Rocco Bellantone come presidente.
Un anno dove si è deciso quindi di mettere mano al riassetto delle più importanti istituzioni sanitarie (solo in Agenas nulla è cambiato con la conferma di Domenico Mantoan alla direzione generale) per lanciare nel 2024 le riforme di cui il Ministro della Salute, Orazio Schillaci ha più volte manifestato la necessità.
Poche, infatti, sono state le novità riformatrici dell’anno scorso: una fra tutte la nuova legge che intende fermare il ricorso al personale sanitario a ‘gettone’ di cui gli effetti vedremo però solo nei prossimi mesi. A seguire anche la revisione dei tetti della farmaceutica e la nuova remunerazione per le farmacie che però anch’essa dovrà concretizzarsi nel primo quadrimestre del nuovo anno.
Dal lato delle risorse l’aumento di 3 miliardi di euro sul Fondo sanitario nazionale sarà quasi tutto assorbito dagli aumenti contrattuali per medici e infermieri e dall’innalzamento del tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni dal privato e dalla proroga dei piani di recupero per le liste d’attesa.
Ecco la ragione per cui il 2024 giocoforza sarà l’anno in cui il nuovo Esecutivo dovrà dare un primo segnale riformatore. Prima fra tutti la revisione dei Dm 70 e Dm 77 sugli standard ospedalieri e quelli territoriali (a proposito, dov’è finito il Tavolo di lavoro istituito al Ministero?). Da sciogliere qui l’intricatissimo nodo del ruolo dei medici di famiglia.
In tema pharma la nuova Aifa dovrà farsi portatrice di un percorso per rendere più rapido l’accesso al farmaco dove l’Italia non brilla in Europa e anche misure per contenere una spesa farmaceutica la cui corsa fino ad oggi non si riesce a frenare.
C’è poi tutto il tema della messa a terra del Pnrr anche dopo la revisione del Piano approvata da Bruxelles. Oltre al famigerato territorio dove bisognerà impegnarsi per non fare in modo che Case e Ospedali di Comunità diventino scatole vuote sarà decisiva l’implementazione della Telemedicina e il potenziamento dell’assistenza domiciliare, due capisaldi dell’assistenza sanitaria del futuro. Il tempo delle carte è finito, i progetti vanno messi a terra.
Altro nodo da sciogliere sarà quello del payback dei dispositivi medici dove si è in attesa del pronunciamento della Consulta. Una vera e propria grana per i bilanci regionali che ha già iniziato a mietere vittime nel 2023 con la Regione Toscana che, a causa dei mancati introiti, ha dovuto alzare le tasse per non andare in Piano di rientro.
Molta attesa poi c’è su uno dei cavalli di battaglia del Ministro Schillaci, ovvero una migliore appropriatezza nelle prescrizioni di visite ed esami per regolamentare il consumismo sanitario che è esploso nell’ultimo ventennio e che vede ormai un quarto della spesa sanitaria totalmente out of pocket. Una cifra che mostra nei fatti come al di là delle parole la privatizzazione del Ssn sia un dato di fatto.
Tema complicatissimo quello del personale. Il 2023 si è concluso con un’ampia tornata di scioperi (che potrebbero proseguire anche quest’anno) con strascichi polemici tra il Ministero e i sindacati sui numeri dell’adesione. A parte le diatribe certamente sarà necessario riprendere le fila del dialogo perché la carenza di personale e la disaffezione verso il Ssn sono questioni di un’importanza tale che richiedono unità d’intenti e non sterili diatribe. Inoltre, non si potrà sempre pagare il privato (che ha pure le sue difficoltà) per risolvere un’emergenza tale. Sempre sul personale dovrà concretizzarsi la creazione della specializzazione in medicina generale e poi c’è anche il tema del numero chiuso e dell’accesso alle facoltà.
Sullo sfondo c’è poi sempre la questione del Covid e come abbiamo visto anche durante l’ultimo mese delle sindromi influenzali. Non è più tollerabile leggere le cronache di pronto soccorso intasati e ambulanze ferme perché durante l’alta stagione influenzale il sistema non riesce a prevedere l’impatto sulle strutture.
Altro tema delicato è quello della prevenzione. Dopo la pandemia gli italiani soffrono di una stanchezza vaccinale del tutto comprensibile ma del tutto pericolosa. Inoltre, c’è stata anche una grave retromarcia sugli screening complici anche le lunghe liste d’attesa. In questo scenario, come ci ha insegnato il Covid si innesta il tema della One Health, evocata da anni ma di cui ancora si fatica a vedere una realizzazione nella pratica quotidiana.
Su tutto pesa chiaramente il contesto globale, le guerre alle porte dell’Europa, i conti economici sempre sul filo e non di meno le elezioni locali ed europee che rischiano di portare all’attendismo piuttosto che al coraggio delle scelte. Ciò di cui la nostra sanità avrebbe invece tanto bisogno.