Diagnosi delle anomalie del ginocchio, messa a punto tecnica di deep learning
Un team dell’Hong Kong University of Science and Technology (HKUST), guidato da Chen Hao, ha messo a punto un modello […]
Uno studio pubblicato sul Journal of Cardiovascular Medicine ha esaminato gli esiti clinici di pazienti con infarto miocardico senza sovraslivellamento del tratto ST (NSTEMI), trattati con stent a rilascio di farmaco di nuova generazione. Obiettivo principale della ricerca era valutare l’impatto del tempo trascorso tra la comparsa dei sintomi e l’intervento (SBT, symptom-to-balloon time) sui tassi di mortalità e sugli eventi cardiaci avversi maggiori (MACE) a tre anni, analizzando anche l’influenza di lesioni coronariche complesse.
La ricerca ha incluso 4.373 pazienti con NSTEMI, suddivisi in due gruppi: il gruppo “complesso” (2.106 pazienti) e il gruppo “non complesso” (2.267 pazienti). Ogni gruppo è stato ulteriormente stratificato in base a un SBT inferiore o superiore alle 48 ore. Gli esiti primari riguardavano la mortalità generale a tre anni, mentre gli esiti secondari includevano eventi cardiaci avversi, come la morte cardiaca, la recidiva di infarto e l’ictus.
I risultati hanno mostrato che nei pazienti con NSTEMI e lesioni complesse, un SBT inferiore a 48 ore era associato a una significativa riduzione della mortalità generale (hazard ratio aggiustato, 0,656; P = 0,009), della morte cardiaca (P = 0,037) e degli eventi avversi maggiori (P = 0,047) rispetto a quelli con SBT superiore. Anche il gruppo non complesso ha beneficiato di un SBT inferiore alle 48 ore, con una riduzione significativa dell’incidenza di ictus (P = 0,020). Tuttavia, nei pazienti con un SBT inferiore a 48 ore, l’incidenza di ictus è risultata più alta nel gruppo complesso rispetto al non complesso (P = 0,019), mentre tra i pazienti con SBT ≥48 ore, il tasso di MACE è stato più elevato nei pazienti con lesioni complesse (P = 0,011).
Lo studio conclude che ridurre il tempo tra la comparsa dei sintomi e l’intervento di rivascolarizzazione ha un impatto positivo sulla sopravvivenza a lungo termine, specialmente nei pazienti con NSTEMI e lesioni coronariche complesse.
Fonte: Journal of Cardiovascular Medicine 2024
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