In Italia la spesa sanitaria pro capite è di 586 euro più bassa rispetto alla media europea

Siamo il Paese con i medici più anziani e resta grave la carenza di infermieri. Il rapporto Ocse

In Italia la spesa sanitaria pro capite è stata pari a 2.947 euro nel 2022, di 586 euro più bassa rispetto alla media europea (3.533 euro). Non va meglio rapportando la spesa al Pil: anche in questo caso il dato italiano si colloca al di sotto della media Ue, con una quota pari al 9%, rispetto al 10,4%.

Questi alcuni dei dati emersi dal rapporto ‘Health at a Glance: Europe 2024’ dell’Ocse.

Le stime preliminari per il 2023 indicano che la spesa sanitaria totale pro capite nel nostro Paese è diminuita su base annua di quasi il 4% in termini reali, riflettendo un calo del 4,5% della spesa pubblica e del 2,6% della spesa diretta. “La pandemia di Covid ha esercitato una pressione al rialzo sulla spesa sanitaria in tutta l’Ue e, sebbene l’Italia non faccia eccezione, la sua spesa sanitaria è aumentata a un ritmo più moderato rispetto alla maggior parte degli altri Paesi dell’Ue”, analizzano gli autori del report in una nota.

La composizione della spesa sanitaria per fonte di finanziamento rivela che la spesa sanitaria pubblica rappresenta complessivamente i 3 quarti della spesa totale in Italia, una quota inferiore alla media Ue dell’81%. Al contrario, la spesa diretta (out-of-pocket) rappresenta il 23% della spesa totale, una percentuale maggiore rispetto alla media Ue del 15%. Tra il 2019 e il 2021, l’emergenza Covid ha fatto aumentare la spesa sanitaria pro capite del 9,3% in termini reali. Tuttavia, nel 2022 si è assistito a una normalizzazione dei livelli di spesa con un calo del 3,5%, accompagnato da un’analoga diminuzione della spesa diretta.

Entrando nel dettaglio delle voci su cui si investe, l’Italia si distingue per un’allocazione di bilancio leggermente superiore alla media per i servizi di assistenza ambulatoriale (33% contro 29%). Il Paese, però, destina una quota relativamente bassa all’assistenza a lungo termine, pari a poco meno del 10% della spesa sanitaria totale nel 2022, al di sotto della media Ue del 15%. “Questa allocazione relativamente ridotta riflette in gran parte la storica dipendenza dell’Italia dall’assistenza informale, pur avendo una delle popolazioni più anziane d’Europa”, concludono gli autori del rapporto.

Personale sanitario

Il numero di medici e infermieri pro capite è aumentato sostanzialmente negli ultimi due decenni nella maggior parte dei Paesi dell’UE. Tuttavia, questo non significa che le carenze siano diminuite se nello stesso periodo la domanda di medici e infermieri è aumentata ulteriormente.

In media nei Paesi dell’UE, nel 2022 c’erano 4,2 medici ogni 1.000 abitanti, rispetto ai 3,1 del 2002 e ai 3,6 del 2012. E l’Italia fa segnare un risultato perfettamente in linea con quello della media europea. La crescita del numero di medici è stata particolarmente rapida in Grecia e Portogallo, ma è importante notare che i dati relativi a questi due Paesi si riferiscono a tutti i medici abilitati all’esercizio della professione (includendo quindi un gran numero di persone che potrebbero non esercitare più, ma che hanno comunque mantenuto l’abilitazione). Austria, Cipro e Norvegia hanno registrato il più alto numero di medici praticanti per popolazione, con circa 5 medici ogni 1.000 abitanti o più. Il numero di medici per popolazione era più basso in Lussemburgo (anche se gli ultimi dati risalgono al 2017) e in Francia (anche se il numero non include i medici in formazione, il che comporta una sottostima rispetto ad altri Paesi).

L’Italia e la Bulgaria sono i due Paesi dell’UE che si trovano ad affrontare le preoccupazioni più pressanti, con più della metà dei loro medici di età superiore ai 55 anni e più di un quinto di età superiore ai 65 anni. La formazione di nuovi medici è aumentata significativamente, ma permane un’elevata dipendenza da medici stranieri, con l’Italia che rappresenta anche un paese di origine per medici che emigrano in altre nazioni.

Nell’ultimo decennio il numero di infermieri è aumentato nella maggior parte dei Paesi dell’UE. In media, nei Paesi dell’UE, nel 2022 ci saranno 8,4 infermieri ogni 1.000 abitanti, rispetto ai 7,3 del 2012. Norvegia, Islanda, Finlandia, Irlanda e Germania hanno il numero più alto di infermieri pro capite nel 2022, con almeno 12 infermieri ogni 1.000 abitanti. La Grecia, invece, aveva il numero più basso di infermieri pro capite tra i Paesi dell’UE, ma i dati includono solo gli infermieri che lavorano negli ospedali. Il numero di infermieri pro capite in Italia continua ad essere inferiore alla media europea: 6,5 contro 8,4 per mille abitanti nell’Ue. Il dato è relativamente basso anche in Lettonia, Bulgaria, Cipro e Ungheria. Negli ultimi anni il governo ungherese ha aumentato in modo sostanziale la retribuzione degli infermieri per aumentare l’attrattiva e la permanenza nella professione.

La professione in Italia si trova a fronteggiare delle criticità, che aggravano ulteriormente la crisi generale delle risorse umane in ambito sanitario, avverte il rapporto. “Le domande di immatricolazione ai percorsi formativi infermieristici si sono quasi dimezzate dal 2012, nonostante un aumento del 25% del numero di posti disponibili”, segnalano gli autori del report in una nota. Di conseguenza, il numero di laureati in Infermieristica in Italia “rimane uno dei più bassi dell’Ue in rapporto alla popolazione (16,4 contro 37,5 per 100.000 abitanti nell’Ue nel 2022)”.

A questa tendenza, segnala infine il rapporto, si aggiunge poi l’emigrazione di laureati in Infermieristica alla ricerca di retribuzioni più vantaggiose all’estero, e tutto questo “solleva apprensioni riguardo alla capacità dell’Italia di colmare le future posizioni infermieristiche – concludono gli esperti – L’ampliamento del ruolo e il miglioramento della qualità delle condizioni di lavoro degli infermieri sono fondamentali per attirare un maggior numero di persone verso questa professione”.

Aspettativa di vita

La pandemia di Covid aveva intaccato la longevità della popolazione tricolore, ma quel periodo nero ora sembra alle spalle, almeno rispetto a questo importante indicatore. Il report mostra come l’Italia abbia una delle speranze di vita più alte dell’Ue. Nel 2023, un bambino nato in Italia potrebbe aspettarsi di vivere in media 83,8 anni: il secondo livello più alto nell’Unione, subito dopo la Spagna, e 2,5 anni sopra la media Ue. Dopo un calo superiore alla media, pari a 1,3 anni, dovuto ai decessi Covid nel 2020, l’aspettativa di vita dell’Italia ha iniziato una ripresa e nel 2023 ha superato leggermente i livelli pre-pandemia, allineandosi alla tendenza osservata nella maggior parte degli altri Paesi dell’Unione europea.

Come in altri Paesi europei, anche in Italia gli uomini hanno una speranza di vita inferiore rispetto alle donne. Nel 2022 – rileva l’Ocse – la speranza di vita delle donne italiane era di 84,8 anni, oltre 4 anni in più rispetto agli uomini (80,7 anni). Ma non sempre sono anni di qualità: come succede in altri Paesi Ue, le donne italiane trascorrono una percentuale maggiore della loro vita con problemi di salute e limitazioni dell’attività (20%) rispetto agli uomini italiani (17%), quindi il divario di genere negli anni di vita in buona salute è quasi nullo (meno di un anno). C’è poi l’impatto della sedentarietà. Il rapporto dell’Ocse mostra che la popolazione italiana ha uno dei tassi più bassi di attività fisica tra i Paesi dell’Ue. Nel 2019, solo il 19% degli adulti ha dichiarato di soddisfare il livello minimo raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di almeno 150 minuti a settimana di attività fisica. Questo dato, rileva il report, “è allarmante se confrontato con la media Ue del 32%”. Il problema è ancora più marcato tra gli adulti più anziani in Italia. Meno del 10% degli over 65 rispetta queste linee guida, collocando il Paese nel terzo inferiore dei Paesi Ue per questa fascia d’età, rispetto al 22% medio dell’Ue.

Non va meglio fra i giovanissimi: nel 2022, l’Italia ha registrato tra i Paesi Ue la percentuale più esigua di bambini di 11 e 15 anni che soddisfano le raccomandazioni Oms sull’attività fisica giornaliera. Solo l’11% degli 11enni aderiva a queste linee guida, mentre la percentuale si riduceva al 5% tra i 15enni. “Questi dati – si legge in una nota sul rapporto – delineano un quadro allarmante, in quanto suggeriscono che l’inattività fisica è destinata a persistere e persino ad aggravarsi in futuro in assenza di misure efficaci per combatterla”. I modelli dell’Ocse stimano che tra il 2022-2050 l’insufficiente attività fisica in Italia costerà al Paese 1,3 miliardi di euro l’anno in costi sanitari aggiuntivi. “Questo notevole onere economico sottolinea l’urgente necessità di intervenire per promuovere l’attività fisica in tutte le fasce d’età”.Link

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