Prevalenza delle infezioni del catetere endovenoso periferico
I cateteri endovenosi periferici sono il dispositivo invasivo più frequentemente utilizzato nella pratica infermieristica, ma sono comunemente associati a complicanze. […]
Aver sviluppato una sepsi durante un ricovero in ospedale per più di due giorni, per motivi diversi da un intervento chirurgico, aumenta il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari, in particolare insufficienza cardiaca. È quanto evidenzia una ricerca pubblicata dal Journal of the American Heart Association e guidata da Jacob Jentzer, della Mayo Clinic di Rochester (USA).
La sepsi è una delle principali cause di ricovero e morte al mondo. Ogni anno, negli USA, circa 1,7 milioni di persone vanno incontro a sepsi, una risposta immunitaria massiccia contro un’infezione che si è diffusa, attraverso il circolo sanguigno, a tutto l’organismo e che può portare a insufficienza d’organo.
Per lo studio, il team ha valutato i dati da un database, identificando più di due milioni di assicurati che venivano ricoverati in ospedale non per motivi chirurgici per due notti o più. Di questi, più di 800mila sono andati incontro a sepsi durante il ricovero. Il team ha quindi analizzato l’associazione tra ricovero e sepsi, un nuovo ricovero e morte, per un periodo di follow-up dal 2009 al 2021. Le informazioni sono state confrontate con quasi 1,5 milioni di pazienti ricoverati che non avevano avuto sepsi, ma che avevano fattori di rischio cardiovascolare (età, ipertensione, iperlipidemia, diabete di tipo 2, malattia renale cronica, obesità o fumo) o malattia cardiaca.
Dai risultati è emerso che la sepsi durante il ricovero è comune nei sopravvissuti all’ospedale ed è associata a un rischio più elevato di morte successiva, riospedalizzazione ed eventi CVD, nello specifico, nei 12 anni dopo la sepsi. L’insufficienza cardiaca, inoltre, è il più comune evento cardiovascolare che si è manifestato tra i ricoverati che sviluppavano sepsi.
Fonte: Journal of the American Heart Association 2023
https://www.ahajournals.org/doi/full/10.1161/JAHA.122.027813
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