Le sfide della nuova Aifa. Intervista a Guido Rasi
08.02.2024 | Quotidiano Sanità
“La nuova Aifa rappresenta la prima tappa di un percorso evolutivo che il regolatore italiano dovrà intraprendere, a fronte di un grande cambio di paradigma che l’innovazione farmaceutica sta affrontando e che va ben oltre l’approvazione di un singolo medicinale. Lo scenario che abbiamo davanti ci parla di almeno il 20% di terapie all’esame di Ema e Fda che non rientrano più nell’ambito delle small molecules, bensì sono farmaci a bersaglio, sempre più precisi, e terapie avanzate”.
A parlarne con Quotidiano Sanità è Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Agenzia europea dei medicinali (Ema) e consulente del ministro della Salute sulla farmaceutica, all’indomani della nomina della nuova Commissione scientifico-economica (Cse) dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), che sarà la prima interprete di questo nuovo paradigma, lavorando sia alla parte scientifica che a quella tecnica dei dossier di approvazione delle nuove cure in arrivo anche in Italia.
“Tutto questo rappresenta una grande opportunità, in primis per i pazienti – prosegue – cioè quella di avere a disposizione terapie altamente efficaci. Che pongono però un problema: terapie geniche e cellulari potrebbero essere per tutta la vita nel bene, con malattie non più croniche ma curate, e nel male, con effetti collaterali persistenti. Sarà quindi necessario assecondare il cambiamento del processo stesso di autorizzazione a livello centrale che avviene in Ema, la quale dovrà necessariamente approvare la maggior parte dei farmaci con conditional market authorization (Cma) a fronte di piani cogenti di monitoraggio real world che restituiscano rapidamente e precisamente la reale performance del farmaco nella pratica clinica.
A questo, sul piano nazionale, Aifa dovrà rispondere, appunto, con piani di monitoraggio molto stretto sul territorio per valutare il reale costo-beneficio dei farmaci che ammetterà al commercio, consentendo da un lato la rapida valutazione degli effetti collaterali su popolazioni più piccole, ma che se ben seguite consentiranno di dare risultati più veloci e più precisi di farmacovigilanza rispetto a quella attuale, basata sull’occasionalità delle segnalazioni. Questo dal punto di vista della sicurezza. Mentre da quello dell’efficacia si dovrà valutare sia il breve, che il medio che il lungo periodo, per avere una fotografia reale dell’effetto del farmaco e del suo perdurare nel tempo”.
“Tutto ciò – spiega ancora Rasi – avrà un impatto anche economico: per la maggior parte di queste terapie sarà fondamentale inventare nuove metodologie di pagamento, incluso quello dilazionato, un’espansione dei Managed Entry Agreements (MEA), legati questa volta però a un monitoraggio preciso e continuo dei risultati clinici, andando molto oltre gli attuali registri che costituiscono ormai solo un fardello burocratico, senza che i dati vengano utilizzati e influiscano su una revisione o una conferma delle decisione prese. Un sistema nuovo, che per essere messo in moto necessita anche di un rapido e serio ragionamento su come ‘staffare’ meglio l’Aifa e ampliare la sua pianta organica.
L’Agenzia infatti genera un guadagno di 100 milioni di euro l’anno, l’85% dei quali torna al Mef, qualcosa al ministero della Salute, e per il resto l’Agenzia si auto-mantiene, ma non può assumere staff. Ha però attualmente 16.000 pratiche pending, il che costituisce un danno erariale e un disincentivo a investire in Italia. In più, se il nostro Paese è fra i primi produttori di farmaci al mondo con centinaia di officine produttive, il loro funzionamento e controllo dipende dall’efficienza dell’Aifa”.
La nuova Aifa è dunque chiamata a fare tutto questo, “e la Cse dovrà rivedere profondamente il modus operandi di fronte a farmaci nuovi, oltre a sanare problemi vecchi. I tempi di approvazione vanno abbreviati, abbandonando l’idea che se si diluiscono i tempi si diluisce anche la spesa: se andiamo indietro di 15 anni e pensiamo all’uso dei farmaci biologici nell’artrite reumatoide, ci si rende conto che scegliendo di utilizzare il farmaco a minore spesa invece che a maggior efficacia, ritardando l’accesso a quelli più efficaci quando malattia risulta già degenerata, ha generato una riduzione di quell’efficacia e soprattutto spese aggiuntive nella gestone della malattia a livello del sistema sanitario, sociale, e delle famiglie.
Occorre passare da un approccio farmaco-ragionieristico a un approccio farmaco-economico olistico. Aifa dovrà essere porta bandiera di questa evoluzione. E la composizione della CSE sembra contenere l’embrione di questo cambiamento: esperti di farmacologia clinica, che sono presenti e altamente qualificati, sono importanti per la valutazione del profilo beneficio-rischio. E per studiare il profilo costo-beneficio, a loro fianco ci sono farmaco-economisti di esperienza che possono contestualizzare il beneficio di una cura in un panorama meno ristretto di quello del budget mensile di una Regione, oltre a medici di alto profilo, che possono valutare il vero beneficio clinico di una terapia”.
Infine, l’ultimo ‘gap’ della precedente Aifa, che secondo Rasi si dovrà colmare: “E’ quello, difficile da comprendere, della disconnessione dell’attività Aifa da quella di Ema, pur avendo Aifa dei rappresentanti di grandissimo valore in Ema, che contribuiscono alle decisioni e potrebbero anticipare i problemi che arriveranno anche di anni. Non si capisce perché questo vantaggio non è mai stato utilizzato. Risolvere questo sarà assolutamente fondamentale dal 2025, quando ci sarà una valutazione HTA sui primi farmaci oncologici, che sarà congiunta. Bisognerà evitare che si trovino soluzioni a livello europeo e poi a casa si faccia l’esatto contrario: ragioniamo e decidiamo prima che approccio debbano tenere i rappresentanti Aifa in Ema, sapendo bene che in Europa basta mandare gli esperti giusti e si porta facilmente a casa il risultato sperato”.