Medici cercasi. In Italia sono i più anziani d’Europa e cresce chi fugge dal Ssn
01.02.2024 | Quotidiano Sanità
I nostri medici sono i più anziani d’Europa: nel 2021, il 55,2% dei medici in Italia ha 55 anni e più, a fronte del 44,5% in Francia, 44,1% in Germania e 32,7% in Spagna. È quanto ha evidenziato l’Istat in audizione in Commissione Cultura al Senato sui ddl per la riforma dell’accesso a Medicina.
“In generale – scrive l’Istat – , nel 2021, l’Italia si colloca al quattordicesimo posto tra i paesi dell’Unione europea per numero di medici ogni 100mila abitanti (410,4); la dotazione di personale medico è più elevata di quella rilevata in Francia (318,3) e Belgio (324,8) e inferiore a quella osservata in Austria (540,9), Germania (453,0) e Spagna (448,7). In particolare, la dotazione di medici specialisti, pari a 328,3 medici ogni 100mila abitanti, è superiore a quella di Austria (300,7), Spagna (277,6) e Francia (180,0) e inferiore a quella della Germania (349,5); i Medici di medicina generale (MMG) fanno invece registrare, nel confronto europeo, valori decisamente più contenuti rispetto a questi paesi (68,1 in Italia rispetto a 72,8 in Germania, 74,8 in Austria, 94,4 in Spagna e 96,6 in Francia)”.
Sempre meno medici di famiglia. “In Italia – rileva l’Istat – il numero dei Medici di medicina generale (MMG), pari a 40.250 nel 2021, si è ridotto negli ultimi dieci anni di 5.187 unità. L’offerta è passata da 76 MMG per 100mila abitanti nel 2012 ai 68 nel 2021. Negli stessi anni sono quindi aumentati il carico di assistenza, passato da 1.156 assistiti per MMG a 1.260, e la quota di MMG con più di 1.500 assistiti (limite superiore fissato dalla normativa nazionale vigente), che dal 27,3% del 2012 sale al 42,1% del 2021. La progressiva carenza di MMG accomuna tutte le aree del paese ma è il Nord la ripartizione geografica più svantaggiata, con una costante diminuzione della dotazione di MMG, passata da 71 ogni 100mila abitanti del 2012 al 62 MMG del 2021; nel 2021 Centro e Mezzogiorno mostrano valori simili, pari rispettivamente a 74 e 73.1”.
Per quanto riguarda i medici specialisti in attività nel sistema sanitario pubblico e privato, “l’età media nel 2022 è pari a 53,7 anni, con una quota pari al 49,2% di medici specialisti con 55 anni e più. Tra le specializzazioni più diffuse, la percentuale di specialisti over 54 supera il 50% tra i cardiologi, i ginecologi, gli internisti, gli psichiatri e soprattutto i chirurghi (58,6%); diverse altre specializzazioni fanno registrare comunque un ritmo di “invecchiamento” molto sostenuto: tra il 2012 e il 2022 la quota di over 54 anni tra i medici d’urgenza è passata dal 26% al 41,8%; tra gli oncologi dal 23,7% al 32,8%; tra i geriatri dal 32,8% al 45,2%. Come noto, il Servizio Sanitario Nazionale dovrà fronteggiare nei prossimi anni una crescente domanda di assistenza dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e all’aumento delle malattie croniche e della multimorbilità”.
Non cresce il numero dei medici di dipendenti del Ssn. Negli anni precedenti la pandemia, “la dotazione di medici specialisti dipendenti del SSN è leggermente diminuita in valore assoluto, passando da circa 105 mila unità nel 2012 a circa 102 mila nel 2019. L’ultimo dato disponibile, relativo al 2021, è simile a quello osservato nel 2019 con 102.376 medici dipendenti. Nonostante i recenti interventi normativi straordinari volti a rafforzare il personale medico sanitario, il tasso rispetto alla popolazione, pari a 173,3 per 100mila abitanti nel 2021, è ancora inferiore a quello registrato dieci anni prima (175,7 nel 2012) e di poco superiore a quello del 2019 (169,7). Rispetto al totale dei medici specialisti in attività nel sistema sanitario pubblico e privato, i medici specialisti dipendenti del SSN rappresentano una quota decrescente nel tempo: erano il 62,6% nel 2012, il 56,2% nel 2019 e il 54,8% nel 2021”.
Uno su tre abbandona volontariamente il Ssn. Le cessazioni dal servizio dei medici del SSN “risultano in aumento nel tempo: erano 6.731 nel 2012, 9.232 nel 2019, 10.596 nel 2021. Tra i motivi della cessazione, nel 2021, il 20,9% è dovuto a collocamento a riposo per limiti di età e il 31,5% a dimissioni con diritto alla pensione, il 17,1% al passaggio ad altre amministrazioni pubbliche, vincita di concorsi o risoluzione del rapporto di lavoro, mentre il restante 30,5% ad altre cause, tra cui le dimissioni volontarie (che possono evidenziare la scelta di esercitare la propria professione nel settore privato o all’estero)”.