Divario tra salute e longevità si allarga a livello globale
Uno studio pubblicato su JAMA Network evidenzia una crescente discrepanza tra la durata della vita (lifespan) e la durata della […]
Tra il 2000 e il 2019 la sopravvivenza dei pazienti con leucemia linfoblastica acuta, portatori del cromosoma Philadelphia, che hanno sperimentato una recidiva dopo un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, il tasso di sopravvivenza globale a due anni è quasi raddoppiato. Lo mostra una ricerca pubblicata dalla rivista Clinical Cancer Research, dell’American Association for Cancer Research.
Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche è considerato un’opzione potenzialmente curativa per i pazienti con LLA Ph+, in particolare quelli con malattia residua minima persistente. In alcuni casi però le cellule leucemiche residue possono sfuggire alla risposta immunitaria antitumorale indotta dalle cellule immunitarie trapiantate e proliferare. La ricaduta della malattia dopo il trapianto è comune e rimane la principale causa di fallimento del trapianto.
Tuttavia, negli ultimi anni, sono stati sviluppati nuovi interventi volti a ridurre il rischio di recidiva post-trapianto nei pazienti con LLA Ph+ e sono diventate disponibili nuove strategie terapeutiche per la gestione delle recidive post-trapianto, compresi gli inibitori della tirosin-chinasi di nuova generazione, i farmaci immunoterapici e la terapia con cellule Car-T. Inoltre, grazie alla maggiore disponibilità di donatori e di un progressivo aumento dell’uso di donatori non imparentati, è diventata un’opzione anche procedere a un secondo trapianto come terapia di salvataggio.
Per valutare le tendenze più recenti nella sopravvivenza dopo la ricaduta post-trapianto, Ali Bazarbachi e i colleghi all’interno dell’Acute Leukemia Working Party of the European Society of Blood and Marrow Transplantation (EBMT) hanno condotto un’analisi retrospettiva, basata su registri, multicentrica, che ha incluso 899 pazienti adulti con LLA Ph+ recidivante dopo trapianto allogenico in un periodo di 20 anni (dal 2000 al 2019).
Gli autori hanno riscontrato un miglioramento significativo della sopravvivenza globale a due anni dopo la recidiva, che è passata dal 27,8% nei pazienti che hanno avuto una recidiva tra il 2000 e il 2004 al 54,8% in quelli che hanno avuto una recidiva tra il 2015 e il 2019. I ricercatori hanno anche osservato che la sopravvivenza è aumentata con il tempo che intercorre tra il trapianto e recidiva. In particolare, il miglioramento della sopravvivenza è stato osservato nonostante un aumento significativo dell’età dei pazienti al momento della ricaduta (da 44 a 56 anni). Un secondo trapianto allogenico entro due anni dalla recidiva è stato eseguito nel 13,9% dei pazienti, determinando una sopravvivenza globale a due anni dalla data del secondo trapianto del 35,9%, con una progressiva diminuzione dell’incidenza di recidive a due anni dalla data del secondo trapianto (74% nel periodo 2000-2004 e 33% nel periodo 2015-2018).
Secondo gli autori, l’aumento dell’età dei pazienti al momento della ricaduta rende i risultati ancora più impressionanti perché, in genere, una sopravvivenza più lunga è associata a un’età più giovane al momento della ricaduta. “Questo effetto è probabilmente dovuto alla maggiore efficacia delle nuove terapie mirate”, commenta Bazarbachi. “Il nostro studio rappresenta la più ampia analisi fino ad oggi che valuta i risultati e le caratteristiche dei pazienti con LLA Ph+ recidivante dopo trapianto allogenico e i nostri risultati hanno dimostrato che la sopravvivenza di questi pazienti è significativamente migliorata nel tempo”, aggiunge. “Questi dati real-world su larga scala possono fungere da punto di riferimento per studi futuri in questo contesto”.
Fonte: Clin Cancer Res
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