L’incidenza dell’ulcera peptica segue le stagioni, e aumenta in inverno
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L’American Gastroenterological Association ha pubblicato, su Gastroenterology, nuove linee guida evidence-based che raccomandano l’uso di biomarkers nel sangue e nelle feci per aiutare a gestire la malattia di Crohn.
Nel contesto delle malattie infiammatorie intestinali (IBD), biomarkers come la proteina C reattiva nel sangue e la calprotectina fecale nelle feci possono dare informazioni sui livelli di infiammazione, che possono indicare se il paziente è in una forma attiva o in remissione. Per quel che riguarda, nello specifico, la malattia di Crohn, la società americana raccomanda l’uso di questi biomarkers in associazione alla colonscopia e ad altri esami di imaging.
In particolare, la proteina C reattiva e la calprotectina fecale devono essere controllate ogni sei-12 mesi e questi esami sono più utili se i livelli corrispondevano anche in precedenza all’attività della malattia osservata durante valutazione endoscopica. Nei pazienti che manifestano sintomi, invece, i due valori vanno controllati ogni due-quattro mesi. Tuttavia, prima di apportare modifiche importanti al regime terapeutico, è opportuno rivalutare il paziente con endoscopia o esami radiologici. Infine, nei pazienti che si sono sottoposti a intervento chirurgico, la calprotectina fecale può essere utile nel monitorare quelli a basso rischio di recidiva, mentre se si sospetta una recidiva post operatoria, bisognerebbe rivalutare con esami radiologici o con l’endoscopia piuttosto che fare affidamento sui biomarkers.
Fonte: Gastroenterology 2023
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