Nuovo approccio infermieristico accelera la guarigione nelle infezioni postchirurgiche
Un recente studio cinese, pubblicato nel 2025 sul Pakistan Journal of Pharmaceutical Sciences, ha analizzato l’impatto di un programma mirato […]
Uno dei sintomi più frustranti e diffusi del Long COVID è il cosiddetto “brain fog”, quel senso di confusione mentale e difficoltà di concentrazione che colpisce oltre l’80% dei pazienti. Ora, uno studio pubblicato su Brain Communications svela il meccanismo alla base di questo disturbo.
Un team guidato da Takuya Takahashi della Yokohama City University ha scoperto che il brain fog è legato a un’eccessiva attività dei recettori AMPA (AMPAR), molecole fondamentali per memoria e apprendimento. Utilizzando una tecnica di imaging innovativa chiamata [11C]K-2 AMPAR PET, i ricercatori hanno osservato direttamente il cervello di pazienti con Long COVID, confrontandoli con soggetti sani. Il risultato? Una densità di AMPAR molto più alta nei pazienti, correlata alla gravità dei sintomi cognitivi.
Lo studio ha anche evidenziato un legame tra infiammazione e attività dei recettori, suggerendo che il sistema immunitario e le molecole cerebrali interagiscono nella comparsa del brain fog. Inoltre, l’imaging ha permesso di distinguere i pazienti dai soggetti sani con 100% di sensibilità e 91% di specificità, aprendo la strada a diagnosi più precise.
Questa scoperta potrebbe portare a nuovi trattamenti: farmaci in grado di modulare l’attività dei recettori AMPA potrebbero alleviare i sintomi cognitivi. “Il brain fog da Long COVID deve essere riconosciuto come una condizione clinica legittima,” sottolinea Takahashi. Controllare questi recettori potrebbe diventare un obiettivo terapeutico concreto, migliorando la vita di milioni di persone colpite.
Fonte: Brain Communications, 2025
https://academic.oup.com/braincomms/article/7/5/fcaf337/8258475