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Umidità ed elevati livelli di particolato in ambienti indoor possono causare gravi problemi di secchezza degli occhi. È quanto emerge da uno studio USA condotto sui veterani.
I ricercatori hanno esaminato i dati sulle valutazioni della secchezza oculare in 97 veterani sottoposti a esami della superficie dell’occhio dopo aver compilato due questionari sui sintomi: il Dry Eye Questionnaire 5 (punteggio 0-22) e l’Ocular Surface Disease Index (OSDI) (punteggi da 0 a 100, dove i punteggi più elevati indicavano una maggiore gravità dei sintomi). Inoltre, i ricercatori hanno condotto test sulla qualità dell’aria in casa.
Nel complesso, i sintomi di secchezza oculare erano moderati, con punteggi OSDI medi di 31,2 e punteggi del Dry Eye Questionnaire 5 medi di 10,5.
All’interno delle case dei veterani, la temperatura media era 24,1 gradi e l’umidità media era del 52,4%.
L’umidità si correlava positivamente a segni di secchezza oculare come infiammazione (r=0,32), problemi vascolari della palpebra (r=0,27) e disfunzione delle Ghiandole di Meibomio (r=0,27) e negativamente ai punteggi del test di Schirmer (r=0,25).
In un’analisi aggiustata, i punteggi OSDI erano più elevati in presenza di una maggiore esposizione a particolato in ambienti indoor nelle case dei veterani. Ogni incremento di un’unità nei livelli di PM2.5 si associava a un aumento di 1,59 punti nei punteggi OSDI, una riduzione di 0,39 nel punteggio di Schirmer (misurato come millimetri di inumidimento a 5 minuti), un aumento di 0,07 nella disfunzione delle Ghiandole di Meibomio (classificato in base alla Meiboscale) e un incremento di 0,06 nel punteggio relativo all’infiammazione (misurata usando InflammaDry, Quidel Corporation).
“Questo studio, per la prima volta, ha valutato direttamente l’ambiente indoor, inclusi il particolato e le condizioni meteorologiche, e ha rilevato che elevate concentrazioni di particolato aggiustate per l’umidità si associavano a determinati parametri di secchezza oculare”, dice Naresh Kumar, professore associato di salute ambientale presso la University of Miami Miller School of Medicine, autore principale dello studio.
Fonte: JAMA Ophthalmology