
ADHD: bambini nati da madre con diabete gestazionale più a rischio di soffrirne
I bambini nati da madri con diabete gestazionale hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbo da deficit di attenzione e iperattività […]
Un nuovo indicatore combinato, l’indice PCR-trigliceridi-glucosio (CTI), si è dimostrato utile per prevedere il rischio di ictus in soggetti di mezza età e anziani, in particolare in presenza di normoglicemia o prediabete. Lo rivela uno studio pubblicato su Cardiovascular Diabetology, basato sui dati della China Health and Retirement Longitudinal Study (CHARLS), che ha coinvolto 10.443 partecipanti seguiti per un periodo mediano di nove anni.
Il CTI, che integra marcatori di infiammazione e metabolismo (proteina C-reattiva, trigliceridi e glicemia a digiuno), è stato calcolato con la formula: 0.412 × logaritmo naturale della PCR (mg/L) + logaritmo naturale del prodotto tra TG (mg/dl) e FPG (mg/dl), diviso due. L’obiettivo dello studio era verificare la relazione tra questo indice e l’insorgenza di eventi cerebrovascolari.
Durante il follow-up, il 9,2% dei partecipanti (960 soggetti) ha subito un ictus. L’analisi statistica ha mostrato una relazione lineare positiva tra CTI e rischio di ictus, indipendentemente dal sesso e dall’età. Sebbene il rischio risultasse leggermente più elevato nelle donne (HR 1,22; IC 95%: 1,09–1,36) rispetto agli uomini (HR 1,15; IC 95%: 1,02–1,29), e nei soggetti di mezza età (HR 1,25; IC 95%: 1,11–1,41) rispetto agli anziani (HR 1,12; IC 95%: 1,00–1,26), le differenze non erano statisticamente rilevanti.
L’aspetto più interessante è emerso dall’analisi stratificata per stato glicemico: l’associazione tra CTI elevato e rischio di ictus era significativa nei soggetti con regolazione glicemica normale (HR 1,33; IC 95%: 1,11–1,59) e in quelli con prediabete (HR 1,20; IC 95%: 1,04–1,39), ma non è stata osservata nei partecipanti con diabete conclamato.
Questi risultati suggeriscono che l’indice CTI potrebbe rappresentare un utile biomarcatore predittivo per eventi cerebrovascolari, soprattutto nelle fasi iniziali della disfunzione metabolica. Tuttavia, l’assenza di associazione nei soggetti diabetici potrebbe riflettere la complessità clinica di questa popolazione o l’impatto di terapie già in atto. Ulteriori studi saranno necessari per chiarire i meccanismi sottostanti e valutare il potenziale uso clinico del CTI nella stratificazione del rischio.
Fonte: Cardiovasc Diabetol
https://cardiab.biomedcentral.com/articles/10.1186/s12933-025-02686-9
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