Dopo il Covid l’Oms Europa lancia la prima rete paneuropea per il controllo delle malattie
L’Oms Europa ha lanciato congiuntamente la Rete paneuropea per il controllo delle malattie (Ndc) con l’Agenzia per la […]
Le interazioni batteriche-virali nelle vie aeree superiori e inferiori influenzano la storia naturale di numerose infezioni da virus respiratorio. Tuttavia, una parte sostanziale delle malattie respiratorie associate all’influenza coinvolge il batterio Streptococcus pneumoniae e le infezioni da pneumococco seguono molto da vicino l’incidenza di altre infezioni da virus respiratorio; questo accade a causa dell’infiammazione indotta dal virus nelle vie aeree superiori, che altera le risposte innate ai pneumococchi e facilita l’acquisizione del trasporto pneumococcico e una perdita di controllo sulla progressione alla polmonite batterica secondaria.
Ora, mentre la polmonite pneumococcica secondaria si verifica meno comunemente dopo la malattia da coronavirus 2019 (COVID-19) rispetto ad altre infezioni virali, non è chiaro se si verificano altre interazioni tra la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2) e Streptococcus pneumoniae.
Sono quindi state indagate le potenziali interazioni tra questi agenti patogeni in un campione di adulti di età ≥65 anni, misurando le associazioni degli esiti di COVID-19 con la vaccinazione pneumococcica (vaccino coniugato 13-valente [PCV13] e vaccino pneumococcico polisaccaridico 23-valente [PPSV23]). Poi sono stati stimati i rapporti di rischio ed è stata valutata la modifica dell’effetto mediante esposizione agli antibiotici per testare ulteriormente il ruolo causale dei pneumococchi.
Tra 531.033 adulti, ci sono state 3.677 diagnosi di COVID-19, che hanno portato a 1.075 ricoveri e 334 decessi; gli aHR stimati per la diagnosi di COVID-19, il ricovero e la mortalità associati alla precedente ricezione di PCV13 sono stati rispettivamente di 0,65, 0,68 e 0,68, mentre la precedente ricezione di PPSV23 non era associata alla protezione contro i 3 esiti. La diagnosi di COVID-19, invece, non è risultata correlata a un precedente PCV13 entro 90 giorni dalla somministrazione dell’antibiotico, mentre le stime di aHR erano 0,65 durante i periodi di rischio 91-365 giorni e 0,62 durante i periodi di rischio >365 giorni, dopo la somministrazione dell’antibiotico.
Quindi, il rischio ridotto di COVID-19 tra i riceventi di PCV13, attenuato transitoriamente dall’esposizione agli antibiotici, suggerisce che i pneumococchi possano interagire con SARS-CoV-2.
The Journal of Infectious Diseases – https://doi.org/10.1093/infdis/jiab128
https://academic.oup.com/jid/article/225/10/1710/6164926