
Infezioni ospedaliere in neonati sottoposti a ECMO: revisione sistematica e meta-analisi
Per valutare l’impatto delle infezioni acquisite in ospedale (IAO) sulla prognosi dei neonati trattati con ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO) […]
Il termine Long COVID si riferisce a una costellazione eterogenea di sintomi aspecifici che persistono oltre le quattro settimane dalla risoluzione clinica dell’infezione acuta da SARS-CoV-2, in assenza di un’altra spiegazione medica plausibile.
Nella popolazione pediatrica, la definizione clinica di “post-COVID-19 condition” (PCC) è stata formalmente proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel febbraio 2023. Secondo tale definizione, il PCC in età evolutiva si manifesta in soggetti con infezione confermata o probabile da SARS-CoV-2, nei quali i sintomi insorgono entro tre mesi dalla fase acuta e persistono per almeno due mesi, con un impatto funzionale rilevante sulla vita quotidiana.
I sintomi più frequentemente associati alla PCC nei bambini e negli adolescenti comprendono affaticamento, alterazioni dell’olfatto, ansia e disturbi cognitivi riconducibili alla cosiddetta “brain fog”. A questi si aggiungono sintomi ulteriori riportati in letteratura, tra cui dolore toracico, difficoltà di concentrazione, tosse, diarrea, capogiri, dispnea, otalgia, febbre, cefalea, insonnia, artralgie, fotofobia, inappetenza, sbalzi d’umore, mialgie, nausea, palpitazioni, sintomi posturali, rash cutanei, dolori addominali e faringodinia. Nei casi più severi, alcuni pazienti pediatrici soddisfano i criteri clinici per la diagnosi di sindrome da fatica cronica/encefalomielite mialgica (ME/CFS), condizione nella quale la fatica si associa a malessere post-sforzo (post-exertional malaise, PEM), che rappresenta uno dei sintomi cardine. Il PEM si manifesta come peggioramento dei sintomi dopo attività fisiche o cognitive normalmente ben tollerate, con esordio ritardato e durata variabile anche di giorni. Inoltre, alcuni adolescenti presentano segni di disautonomia, come la sindrome da tachicardia posturale ortostatica (PoTS), confermando la multidimensionalità clinica di questa condizione. La diagnosi si fonda sul riconoscimento di sintomi persistenti e compatibili, in particolare nei casi più complessi caratterizzati da PEM o segni di disautonomia, come nella PoTS. L’assenza di marcatori specifici rende necessario un inquadramento clinico attento, multidisciplinare e orientato all’esclusione di altre patologie.
La prognosi della PCC in età pediatrica è generalmente favorevole, con risoluzione spontanea dei sintomi nella maggior parte dei casi entro sei mesi. Nei casi più persistente, non va sottovalutato il supporto terapeutico, che deve personalizzato in funzione delle esigenze del paziente. Nei casi di malessere post-sforzo (PEM), è raccomandato il pacing; nel caso di sintomi disautonomici, come nella sindrome PoTS, si suggeriscono misure conservative quali respirazione diaframmatica, idratazione e aumento dell’apporto salino. Da ultimo, è necessaria una formazione specifica degli operatori sanitari e ulteriori studi prospettici per meglio indagare i meccanismi patogenetici da cui migliorare l’approccio terapeutico.
Fonte: Eur J Pediatr. 2024
https://link.springer.com/article/10.1007/s00431-0
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