Carcinoma dell’endometrio

Il carcinoma endometriale è tra i più frequenti tumori femminili con tassi di incidenza maggiori nei paesi industrializzati, riflettendo quindi l’importanza dei fattori ambientali e dello stile di vita (es. obesità e una dieta ricca di grassi) nel determinare l’aumento del rischio di sviluppare questo tipo di neoplasia1,2.

Attualmente sono circa 122.600 le donne che vivono in Italia dopo una diagnosi di tumore del corpo dell’utero2. Il tumore dell’endometrio è il terzo tumore più frequente nelle donne nella fascia di età compresa tra i 50 e i 69 anni e rappresenta circa il 5% di tutti i tumori femminili diagnosticati1.

A livello globale rappresenta il sesto tumore per incidenza nel sesso femminile1. In Italia, nel 2021 sono stati stimati circa 3.100 decessi e la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi si attesta attorno all’80% 2.

I tumori endometriali possono essere divisi in due categorie: estrogeno dipendenti (carcinoma endometrioide di tipo I) o indipendenti (carcinoma non-endometrioide di tipo II).

Per i primi, i principali fattori di rischio sono la nulliparità, la menopausa tardiva, menarca precoce, il diabete, l’ipertensione, l’obesità e la terapia ormonale sostitutiva con estrogeni senza progestinici.

I secondi sono invece più frequentemente associati a pregressa terapia con tamoxifene o pregressa radioterapia pelvica.

Tra i fattori di rischio sono riconosciuti anche fattori eredo-familiari: nelle donne con sindrome di Lynch il rischio di sviluppare il carcinoma endometriale è di circa il 40-60% 1.

Nella stragrande maggioranza dei casi il sintomo d’esordio è il sanguinamento vaginale anomalo, che deve essere indagato con ecografia trans-vaginale1. Questo esame permette in particolare lo studio dello spessore endometriale. La diagnosi di carcinoma endometriale si basa essenzialmente sulla valutazione del tessuto endometriale ottenuto attraverso esami bioptici mirati, che possono essere eseguiti anche in corso di isteroscopia1

Il completamento della stadiazione avviene mediante imaging dedicato, in particolare tramite risonanza magnetica (RMN senza e con mezzo di contrasto), fondamentale nella stadiazione preoperatoria, che consente di valutare il grado di infiltrazione del miometrio, degli organi circostanti e dei linfonodi. La TC, anche se presenta scarsa accuratezza diagnostica rispetto alla RM per la valutazione dell’utero, risulta utile nella valutazione delle eventuali sedi di malattia extra-uterina , come per esempio per lo studio dei linfonodi o del parenchima epatico1.

Il trattamento standard del tumore dell’endometrio è rappresentato dalla isterectomia semplice laparoscopica con annessiectomia bilaterale e linfoadenectomia pelvica e paraortica o valutazione del linfonodo sentinella che, in centri specializzati, ha sostituito la linfoadenectomia2.

Recentemente, la classificazione clinica dei tumori dell’endometrio è stata integrata con la classificazione molecolare, con la suddivisione in 4 classi di rischio che definiscono il trattamento adiuvante1:

  • tumori con mutazione POLE (circa il 7%), a buona prognosi;
  • tumori con instabilità dei microsatelliti (MSI, circa il 28%), a prognosi intermedia;
  • tumori con caratteristiche molecolari aspecifiche (NMSP, circa il 40%), a prognosi intermedia;
  • tumori con mutazione di p53 ed elevato copy number (circa il 25%), a prognosi infausta.

I tumori a basso rischio sono solitamente trattati con la sola chirurgia, per cui le pazienti non necessitano di una terapia adiuvante .

I tumori a rischio intermedio possono ricevere la brachiterapia adiuvante, per ridurre la possibilità di recidiva sulla cupola vaginale, ma anche la sola osservazione post-chirurgia può essere considerata un’opzione, specialmente nelle pazienti di età inferiore ai 60 anni.

I tumori a rischio intermedio-alto sono di solito trattati sulla base dello stato linfonodale: in caso di negatività la brachiterapia adiuvante è il trattamento di scelta, mentre nelle pazienti con coinvolgimento linfonodale sconosciuto deve essere effettuata la radioterapia esterna. Inoltre, in presenza di altri fattori di rischio (G3 o l’invasione linfovascolare), specie se lo stato linfonodale non è noto, la chemioterapia può essere presa in considerazione.

In caso di tumore a rischio alto le pazienti dovrebbero ricevere una chemioterapia adiuvante a base di carboplatino e paclitaxel per 4 cicli, seguiti da radioterapia, o radiochemioterapia concomitante, ma anche la sola chemioterapia per 6 cicli può essere un’opzione.

In caso di malattia in fase avanzata/metastatica, la chemioterapia a base di carboplatino e paclitaxel è lo standard di cura in prima linea. Nelle pazienti in progressione dopo la prima linea non esiste uno standard di seconda linea definito: i farmaci più attivi sono doxorubicina e paclitaxel. Inoltre, la combinazione di lenvatinib e pembrolizumab ha ricevuto ad ottobre 2021 l’approvazione dall’ente regolatorio europeo (European Medicines Agency – EMA) come trattamento a progressione da precedente chemioterapia a base di platino ricevuta in ogni setting, in pazienti con tumore dell’endometrio non candidabili a chirurgia o radioterapia con intento curativo2,3.

  1. Linee Guida AIOM Neoplasie dell’Utero, edizione 2021
  2. I numeri del cancro in Italia, rapporto AIOM-AIRTUM 2021
  3. RCP KEYTRUDA

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