Colangite biliare e diabete sono legati da una relazione causale bidirezionale
Secondo uno studio pubblicato su Frontiers in Endocrinology, tra il diabete di tipo 1 e la colangite biliare primitiva esiste […]
La pandemia da COVID-19 ha accelerato la diffusione della telemedicina, ponendo nuovi interrogativi sulla sua accessibilità nelle popolazioni più vulnerabili. Un recente studio pubblicato su Telemedicine and e-Health ha indagato la prevalenza e i fattori associati all’utilizzo della telemedicina in un ambulatorio di cura per il diabete situato in un ospedale universitario urbano degli Stati Uniti, in un’area caratterizzata da forte disagio socioeconomico e scarsamente servita dal punto di vista medico. Lo studio ha preso in esame i dati raccolti tra gennaio 2020 e gennaio 2021, nel pieno della crisi pandemica, concentrandosi su variabili sociodemografiche e cliniche per comprendere chi ha avuto accesso alla telemedicina e in che misura.
“Volevamo capire se i pazienti più fragili, spesso esclusi dall’innovazione sanitaria, avessero trovato nella telemedicina una risorsa realmente accessibile durante la pandemia. I nostri risultati mostrano che la telemedicina può rappresentare uno strumento equo e utile per garantire continuità di cura, anche in contesti difficili” afferma Jessica Lyons, dello Howard University College of Pharmacy, Washington, District of Columbia, USA, autrice principale del lavoro.
Lo studio ha incluso 325 pazienti con diabete di tipo 2. L’età media era di 58,2 anni, il 67,6% era composto da donne, e il 92,6% si identificava con etnia afroamericana. La media dell’emoglobina glicata (HbA1c) era dell’8,1%, e il numero medio di farmaci prescritti era 4,9. Una larga maggioranza dei pazienti (88,3%) aveva effettuato almeno una visita in telemedicina nel periodo considerato. L’analisi statistica ha rivelato che le donne avevano una probabilità significativamente maggiore di utilizzare la telemedicina rispetto agli uomini, anche dopo aggiustamento per età, etnia, stato di salute e altre variabili cliniche. Al contrario, l’area di residenza, utilizzata come indicatore proxy per reddito basso e servizi medici scarsi, non si è rivelata un fattore predittivo significativo dell’uso della telemedicina. Questo suggerisce che il contesto sociale di deprivazione, spesso visto come barriera all’adozione delle tecnologie sanitarie, non abbia in realtà ostacolato l’accesso in questo specifico ambito. Inoltre, nonostante l’elevato carico terapeutico e i livelli glicemici non ottimali, i pazienti hanno mostrato un’ampia accettazione del nuovo modello di cura a distanza. Ciò potrebbe essere attribuito anche agli sforzi istituzionali per implementare sistemi di teleassistenza efficaci e semplificati, compatibili con una scarsa alfabetizzazione digitale e i limiti infrastrutturali. “In conclusione, il nostro studio dimostra che la telemedicina si è dimostrata un’opzione efficace e ben accolta per la gestione del diabete anche in popolazioni caratterizzate da fragilità sociale ed economica. Sottolineiamo l’importanza di promuovere modelli di cura ibridi anche dopo la pandemia, per garantire equità e continuità assistenziale” concludono gli autori.
Fonte: Telemed J E Health. 2025 .
https://www.liebertpub.com/doi/10.1089/tmj.2024.0468